Categorie: biennale 2007

VEZZOLI FOR PRESIDENT

di - 18 Giugno 2007

Il suo lavoro si è contraddistinto subito per il mix spericolato di linguaggi apparentemente antitetici: il ricamo, silenzioso e meditativo, e il video, veloce e assolutamente contemporaneo. Dopo la ricerca intimista e autobiografica dei primi lavori dove l’artista ritagliava il prodotto su misura di ogni singola icona e della sua storia personale, a partire da Comizi di non Amore del 2004, Francesco Vezzoli (Brescia 1971; vive a Milano) apre la riflessione a strutture narrative più ampie e meno connotate individualmente. Mettendo in luce la natura frammentaria della celebrità, la sua attenzione si raccoglie in maniera convincente sull’analisi delle espressioni schizofreniche della nostra società mediatica. Presente nel 2001 alla 49° Biennale di Venezia, con una performance interpretata dalla ex-modella Veruschka, intenta a “restaurare” con ago e filo un proprio ritratto della copertina di “Stern” del ‘69 impresso sulla tela del tombolo, per la 51° Biennale del 2005 propone un video provocatorio che ricalca il format di un trailer cinematografico per un ipotetico remake del film Io, Caligola di Brass/Vidal.
Quest’anno, invitato da Ida Gianelli nel nuovo Padiglione Italiano, presenta Democrazy, un nuovo lavoro che prende spunto dalle imminenti elezioni americane del 2008 mettendo in piedi un’autentica campagna elettorale di due immaginari candidati alla presidenza. In collaborazione con veri team di media advisor, professionisti della politica statunitense, capitanati da Mark McKinnon, primo consigliere della campagna di George W. Bush nel 2004, e Bill Knapp, portavoce di Bill Clinton nella corsa alla casa Bianca del ‘96, Vezzoli scandaglia il potere dei media per restituirci una coscienza critica in grado di riconoscere le manipolazioni sempre più diffuse della verità.

Finalmente un Padiglione Italiano nuovo di zecca. Cosa vuol dire per te fare gli onori di casa?
Sono chiaramente “onoratissimo” e soprattutto felice della presenza di Penone.

Sebbene giovanissimo, ti puoi definire già un veterano degli ambienti biennalistici della Laguna, contando tre presenze all’attivo dal 2001. Non rischia di diventare un appuntamento fisso?
Sì, penso proprio che adesso per un po’ non mi inviteranno più…….

Il tuo nuovo video, Democrazy, emula il meccanismo delle campagne elettorali americane. Il passo è breve tra il mondo dello spettacolo e quello della politica?
Le dinamiche che regolano il mondo dello spettacolo e quello della politica a volte sembrano molto simili. Proprio come Caligola voleva essere il trailer di un film che non esiste, in questo caso con una campagna per delle elezioni che nella realtà non esistono ho cercato di mettere in luce l’aspetto un po’ effimero dell’industria politica di Washington e la banalità con la quale vengono presentati i principi morali e politici di un candidato che, poi, dovrebbe governare e rappresentare il paese per quale si candida.

La tua firma è il cameo di una star hollywoodiana. Riesci ancora a tenerti ai margini di questo mondo dorato, come un voyeur che riporta solo ciò che vede, o l’attrazione si è trasformata in partecipazione?
No, la mia attrazione rimane tale proprio perché le star di Hollywood accettano di avere con me delle avventure occasionali, ma mi rifiutano delle relazioni più serie, per usare una metafora sentimentale… Io peraltro non ho nessun desiderio di diventare regista e quindi continuo ad essere perfettamente soddisfatto del mio ruolo di semplice voyeur.

Cinema e ricamo sono ingredienti indispensabili. In che direzione si stanno evolvendo all’interno del tuo percorso artistico?
Il cinema in quanto tale continua ad essere per me grande fonte di ispirazione, e soprattutto in questo periodo, le pellicole più storiche della commedia all’italiana; il ricamo forse è evoluto in una direzione più concettuale e politica, direi, ma questo lo devono valutare i critici.

In che modo la produzione di un reality-show, quella di un trailer per un ipotetico remake di un film, e, ora, la ricostruzione delle dinamiche di una campagna elettorale possono essere considerate “arte”?
Io semplicemente cerco di rispecchiare il più fedelmente possibile la realtà sociale e politica che ci circonda, lascio che siano gli altri a valutare o definire il mio lavoro.

Alzare progressivamente la posta in gioco è il motore della tua operazione, mentre il prodotto video può essere considerato il tassello conclusivo di una lunga performance fatta di telefonate, incontri e viaggi…
Le telefonate, i viaggi e gli incontri sono esclusivamente strumentali a garantire la partecipazione di persone che io ritengo fondamentali per la realizzazione del progetto. Nel caso di Democrazy, ad esempio, è proprio la partecipazione degli advisor di Washington a rendere, a mio parere, il progetto interessante. Sinceramente penso che se io in quanto “improvvisato regista” mi mettessi a sceneggiare e a dirigere degli ipotetici spot elettorali, il lavoro sarebbe inevitabilmente carente da un punto di vista concettuale. Ovvero, chi se ne frega di come io potrei concepire una campagna elettorale, è molto più interessante spiare le modalità produttive di chi in questo settore è ritenuto il più bravo al mondo…

Ti reputi piuttosto un “sintomo” della Società dello Spettacolo o una “spia infiltrata” che lavora per il suo collasso?
La definizione di “spia infiltrata” mi attira molto.

Il gruppo bancario UniCredit ha finanziato il video presente alla Biennale. Già nel 2003 ti eri avvalso del sostegno della fondazione Prada. Non puoi lavorare senza grandi capitali e grandi nomi della finanza e dell’industria?
I miei progetti costano molto molto meno di quanto la gente potrebbe immaginare dal momento che tutte le persone che vi partecipano lo fanno a titolo personale e gratuito. Essere sostenuto da quelli che definisci “grandi capitali” garantisce forse maggiore visibilità ai miei progetti. E questo non mi dispiace.

marta silvi

[exibart]

Visualizza commenti

  • stimo il lavoro di Vezzoli ma questa prova è veramente deludente... non ci crede, è tirata via, vuota nella sua autoreferenzialità

  • sù dai.. diciamo la verità, questa volta il lavoro di vezzoli ha fatto un pò acqua,

    caligola era un gran bel lavoro, ma questo sembrava una cosa appena appena iniziata, e non venitemi a dire che è un gran lavoro perchè c'è la stone e levy...

    la stone ormai fa la pubblicità pure ai forni a micro onde e levy fa più ospitate in tv di taormina...

    è una bolla di sapone, basterebbe solo che il pubblico o che qualche critico un po serio la facesse scoppiare con un giusto commento per ridimensionare il lavoro a quello che è: un mero spot organizzato da pr..

    peccato.

  • tra vezzoli e penone la volontà di non guardarsi intorno e fare tutto da una scrivania.
    storr ci fa vedere degli artisi italiani che vivono a ny ... baselitz fa l omaggio a vedova..
    bene avanti savoia...

  • Padiglione Italiano disastro totale
    non capire ammicamento Stati Uniti , i nomi delle
    opere in Inglese ,Penone arte povera ? costo della opera ? ecologia ? che disastro quante pretensione fallimento a 360 °
    I Critici di Arte non sanno cosa dire paura a subiere represaglie del establisment Torinese
    magari in futuro non li lasciano lavorare al Castello.

  • padiglione italiano anche quest'anno piu' deludente!
    ma che stiamo scherzando.
    rimpiango quello dell'anno scorso ed e' dire tutto!

    vergogna

  • Non metto in discussione Vezzoli come artista poiché è persona colta e sempre esteticamente accorta ma ho avuto forte la sensazione che "Democracy" sia viziato da una certa spocchia intellettuale. Un lavoro giocato troppo sulla forma, della serie "guardate quanto sono figo..."
    Da Vezzoli mi aspettavo di più e di meglio!

  • se il mondo fosse così semplice come lo vedono questi, due saremmo tutti dei "Geni",
    L'arte è davvero al capolinea.

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