Non è solo l’allestimento misurato e pulito a far risaltare le opere di
Eléna Nemkova (Dushanbe, 1971; vive a Milano). Non è nemmeno l’equilibrio, l’unico protagonista di una personale tanto gradevole quanto profonda e intelligente. Piuttosto, il merito va cercato in una concordanza estetica e semantica dei lavori esposti, che appaiono più come una struttura corale che come una selezione ordinata. Risultato, questo, non sempre raggiungibile alla luce della svariata quantità di mezzi messi in campo: video, scultura, fotografia, disegno.
Sublime Control (2008) è una video animazione basata sulla commistione di registrazione del reale e grafica 3d. Singolari meccanismi industriali si adoperano per trasformare le condizioni meteorologiche di un pianeta molto simile alla Terra. Così, con l’intervento di giganteschi refrigeratori o con l’aiuto di immensi aeratori, l’atmosfera oscilla tra desertificazione e glaciazione, lasciando un solo piccolo spiraglio di clima temperato.
Da una tale era post-organica pare emergere
Unbelievable efforts against the Catastrophe theory (2007), già presentato in occasione della passata Biennale di Mosca. Il contemporaneo fossile di mammuth, emblema di un lontano mondo sovietico, poggia su un basamento ligneo dalla morfologia spezzata come quella di una roccia calcarea. Nelle zampe ruvide di materiale sintetico, che fingono colore e consistenza reali, s’innestano direttrici nere, lucide e intagliate, e due grandi zanne trasparenti troneggiano sul complesso scultoreo. Monumentalità e fantascienza s’incontrano al bivio di un ricordo sgretolato.
Nelle opere su carta, invece, l’informazione tratta da canali mediatici di divulgazione scientifica subisce un trattamento che la rende evanescente, sfumata, come afflitta dall’oblio imposto alla condizione di overdose comunicativa. “
L’uguaglianza globale e la totale rinuncia dell’uso del denaro, sembrano impossibili a causa della natura fisiologica umana”, si legge decifrando i caratteri cirillici dipinti. E il pensiero corre ad
Azione di recupero (2008).
Il progetto, prodotto in occasione della mostra bolognese, si compone di una scultura e dell’environment a cui la stessa scultura è sottoposta. Il pesante blocco di marmo nasconde al suo interno il rilievo a negativo del viso di Karl Marx. Lo stesso macigno è il protagonista di una serie di scatti che lo vedono abbandonato in un parco, in un’area verde nella quale una muta di cani lo usa come sfondo dei propri giochi.
Ponendosi al centro di dinamiche di lotta per il territorio, di regolamenti di conti di specie canina, il modello di un’utopia economico-politica viene svuotato del suo valore simbolico.