Una folla vivace e colorata si assiepa nell’alveo disseccato di un fiume; da un lato taluni artigiani montano i loro strumenti, dall’altro i venditori ambulanti invitano con gesti ad acquistare la merce: è l’immagine famigliare, per le terre emiliane, di una fiera rurale di cui sembra possibile percepire odori e sapori. Sono questi taluni brani di paese visibili da una lettura attenta dell’inedito dipinto di G. Francesco Barbieri, riconsegnato alla sua legittima attribuzione dalla felice intuizione di Massimo Pulini, curatore della mostra ospitata nelle sale della Pinacoteca Civica di Cento. Una scrupolosa ricerca storica, che verifica come nel 1459 il corso del Reno venne fatto defluire in un nuovo alveo per scongiurare ulteriori devastanti esondazioni, legittima la titolazione scelta da Pulini per il dipinto: Fiera sul Reno Vecchio. Il ritrovamento di quest’opera giovanile del Guercino, databile tra 1615 e 1618 e per lungo tempo conservata nelle sale dell’archivio fotografico dei Musei Vaticani come “anonimo bambocciante romano del XVII secolo”, ha sollecitato l’allestimento di un’esposizione che invita a riflettere sulle due tematiche meno indagate del pittore: quelle del paesaggio e della scena popolare. Risulta affascinante osservare come le linee geometriche e i piatti tavolati della pianura ferrarese, le fitte nebbie che tutto avvolgono e scoloriscono, smorzando suoni e rumori e bloccando quasi in un asfittico fermo-immagine ogni sorta di movimento nella percezione di chi guarda, abbia spesso stimolato i pittori locali a rifuggire tale endemica staticità. Le risposte ad un ambiente che nulla concede al dinamismo e al colore, sono state ora le quanto mai improbabili architetture e i cieli tersi di Cosmè Tura, ora le dorate e vivaci fronde arboree di Dosso Dossi. Anche nei piccoli paesaggi dipinti e nelle opere della prima maniera del Guercino, dove alla saturazione materica si unisce una cromia intensa, fatta di blu oltremarino e di squarci luminosissimi, ci troviamo di fronte ad un fare pittorico che per la sua stessa energia sembra sfidare il grigiore padano. La valenza luministica e cromatica di queste guercinesche “affabulazioni sentimentali” , per usare le parole di Pulini, sono da rintracciare però nei venetismi di taluni ferraresi quali Carlo Bononi e Ippolito Scarsella. Quest’ultimo insieme a Jacopo Bassano, di cui il ferrarese traduce nella lingua locale gli scorci paesaggistici e i brani di paese, rivelano attraverso, alcuni esempi pittorici esposti in mostra, come relegando in secondo piano i soggetti sacri narrati nella rappresentazione, cedono di fatto il proscenio a più quotidiane istantanee anedottiche. E’ a questa dimensione paesana, attenta agli aspetti più modesti e semplici di uomini e animali, che Guercino aderisce prendendo le distanze da quell’interpretazione aulica e classicistica del paesaggio, qual si va definendo attraverso gli esempi di Annibale Carracci a Roma e di Domenichino. La rassegna centese che punta i riflettori sulle due tematiche del paesaggio e della scena popolare mira a cogliere le connessioni interne tra i due argomenti, sottolineando come Guercino (insieme ad altri), descriva la natura con la medesima disposizione d’animo con cui racconta le presenze vive delle sue terre. In tal senso si può affermare come la mostra comunichi dialetticamente con quella bolognese del 1962 la quale, sotto la cura di Cesare Gnudi, essendo diretta a tracciare la linea emiliana dell’Ideale Classico del ‘600 nella pittura di paesaggio, escludeva inevitabilmente differenti interpretazioni del Naturale. Ma la rassegna centese si pone in rapporto dialogico anche con un altro evento espositivo realizzato a Brescia, appena due anni fa: la mostra intitolata, Da Caravaggio a Ceruti. Se in quell’occasione si constatava la necessità per Bologna, di attendere fino al ‘700 per registrare un risveglio d’interesse verso la rappresentazione della vita quotidiana svincolata da contenuti mitologici o religiosi, oggi si vuole rintracciare una continuità, una percepibile trasmissione di idee sulla base di un’attenzione tutta particolare “estetica e sentimentale” verso quell’”umano paesaggio”. Sembra dunque ricucirsi il filo iconografico e stilistico che dalle Botteghe e Macellerie di Bartolomeo Passerotti e Annibale Carracci, conduce ai Mestieri per via incisi da Giuseppe Maria Mitelli e alle Scene di Cortile di G. Maria Crespi. La Fiera sul Reno Vecchio di Guercino oltre a costituire un’importante anticipazione sulle cosiddette bambocciate romane, rivelando strette connessioni con la coeva Fiera dell’ Impruneta dipinta a Firenze da Filippo Napoletano e realizzata in incisione da J. Callot, sembra da ultimo, lasciare numerose tracce anche nella memoria pittorica della Fiera di Poggio a Caiano del Crespi, il cui approccio al vero non mira a restituirlo analiticamente bensì a scandagliarne la presenza umana e sentimentale.
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Sono contento di vedere risaltare fuori il nome di un artista troppo spesso, e a torto, trascurato: Carlo Bononi. A quando una bella mostra? Stupirebbe molti.
Mahon è un mito. Comprò quadri di manieristi emiliani quando non valevano nulla. E il percorso per una loro rivalutazione non è finito.
Venerdì 20 Aprile 2001, Denis Mahon ha visitato la mostra centese dedicata all'inedito del Guercino. Il celebre studioso ha confermato l'attribuzione del quadro, rinvenuto a Roma, nei depositi dei Musei Vaticani,al pittore di Cento. La scoperta del dipinto giovanile di Guercino, invita a riflettere, secondo Mahon, sulla pittura di paesaggio e di genere che a queste date, non sarebbe dunque esclusiva peculiarità di fiamminghi e olandesi, bensì già ben affermata anche in Italia.