Come un virus che portiamo dentro, pronto a manifestarsi d’improvviso sino alle sue estreme conseguenze, così le scene complici dei fotogrammi di Giulia Caira, autrice e soggetto attivo di rappresentazione, ci rimandano alle ombre di un’anima femminile tanto fragile da portare i segni materiali di un amore mancato. Sono le sequenze della serie Cosìmpari dove la fisicità della Caira diventa simbolo inconscio della nudità femminile più comune il cui corpo, un tempo vissuto come tempio, baluardo, fortezza inespugnabile da altri se non da un probabile compagno, ora giace in un prorompente abbandono che reca le ferite proprie di una tragica fine (su tutte, le lacerazioni in chiave sadomasochista delle calze nere).
In Pussiblùun senso di lascivia e di vertiginosa solitudine ricopre di sa
Brilla d’un rosso sfuocato, sotto forma di arredo per le pareti, questo bisogno di dualità in uno dei frammenti di Love Me Tender dove la nostra eroina si veste e traveste ora da geisha, da casalinga frustrata eppur accessoriata secondo l’immaginario dei b-movie degli anni ’60, da sensuale pin-up, ed infine trionfa in un enorme assetto di guerra, alla tank girl con tanto di mitra in mano, in cui sembra gridare: “O mi ami, o t’ammazzo ”.
Si ritrovano in questi frammenti fotografici, densi di colori forti e spalmati, tutti i feticci che da secoli vengono assunti a paradigma della femminilità nel senso
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la caira??? un'artista al degrado...lei e quelli che le danno corda, ma è possibile che nessuno si opponga a quest'arte vista e rivista e ...basta, vi prego!
Mi ricordo, qualche anno fa, quando il lavoro di Giulia Caira ci veniva spacciato (da Luca Beatrice ed altri) come qualcosa che avrebbe cambiato il mondo.
Adesso mi fa proprio pena.