GLORIA DORLINGUZZO, DIES IRAE, PH MONIA PAVONI, Festival Oriente Occidente di Rovereto, 2025
È un monumento di bellezza per l’architettura visiva che crea; per la dilatazione spazio-tempo che attraversa; per il vasto immaginario onirico, tra mitologia e fantascienza, che suscita; per l’apertura a connessioni tra passato, presente e futuro, a geografie e luoghi mentali, a pratiche artistiche e culturali depositatesi nella memoria. Con la fantasia intravediamo, tra le molte suggestioni pittoriche e scultoree, i manichini metafisici di De Chirico; le artigianali sculture assemblate di Enrico Baj, le azioni installative di Romeo Castellucci; certe opere figurative di David Lynch; il Triadisches Ballett di Oskar Schlemmer; le algide e meditative performance di Bob Wilson. Una dichiarazione di quest’ultimo che ebbe a dire «La lentezza è una forma di intensità», riferita alla personale pratica artistica che lo ha contraddistinto, è quanto di più appropriato, anche se parziale, si possa applicare allo spettacolo di Eszter Salamon del quale parliamo: Monument 0.10: The Living Monument, creato per il The Norwegian National Carte Blanche, in prima nazionale al Festival Oriente Occidente di Rovereto.
Creato nel 2022, ultimo della serie Monument iniziata nel 2014 dalla coreografa e artista multidisciplinare di origine ungherese, attiva tra Berlino, Parigi e Budapest, lo spettacolo è un ammaliante, ipnotico, riverberante viaggio figurativo e immaginifico di corpi in continua trasformazione, dei quali scorgiamo appena il fisico (solo in alcune sequenze, come quella dai costumi dorati, ne vediamo le fattezze), coperti come sono di stravaganti maschere, copricapi, costumi, stoffe, protesi, costantemente (ri)organizzati nello spazio, con una lentezza magnetica di impercettibile gestualità, movimenti e posture.
Sono forme animate e inanimate capaci di creare paesaggi mentali, ambienti fisici, bestiari metamorfici. Sono stratificazioni antropomorfe, immagini indefinite catturate dalla Storia (primigenia, barocca, medievale, futuristica…), apparizioni sempre diverse nelle oltre due ore di rappresentazione, che emergono da zone oscure (l’inizio dello spettacolo è spiazzante per il lungo buio quasi totale, superato il quale si è travolti dalla bellezza), da penombre e improvvise atmosfere cromatiche, plasmate dal determinante disegno luci di Silje Grimstad, immerse nel pulsante suono elettronico di Carmen Villain che ingloba, a tratti, canti della tradizione del Nord Europa da cui provengono i quattordici magnifici performer.
Di loro immaginiamo la non facile energia trattenuta, dosata, sprigionata tra rarefazione e staticità, col corpo nascosto e impegnato a plasmare in dissolvenza continue trasfigurazioni dentro i molti involucri (quasi seicento i costumi utilizzati, di materiale riciclato e riciclabile!). Solo nel finale, dismesse le maschere, vedremo i loro volti mentre i corpi si svestono in parte, tirano a sé, coprendosi, lunghe stoffe da terra, per assumere infine l’ultima posa scultorea. Monument 0.10: The Living Monument è un capolavoro che ipnotizza, seduce lo sguardo e la mente, lasciando a ciascuno di noi la libertà di un personale viaggio sensoriale nella propria, ma anche collettiva, stratificata, memoria culturale, dove non può mancare il sentimento dello stupore.
Sono 12 interpreti non professioniste, donne di età compresa tra i 15 e gli 80 anni. Indossano grembiuli azzurri, da operaie. Nella vuota officina dismessa che li accoglie, ci sono, disposti a terra, due tronchi di alberi recisi, una grigia lamiera appesa sul fondo, e due incudini. Su questi, battendovi sopra con dei martelli, estratti, a turno, dalle rispettive tasche, le donne saranno protagoniste di una partitura sonora codificata. Il suono battente, che in più momenti udremo, è parte dell’opera musicale per pianoforte e martello Dies Irae, di Galina Ustvolskaya (1919-2006), rivoluzionaria compositrice russa, anarchica, allieva di Sostakovich (era soprannominata “Donna col Martello”).
A firmare il potente, bellissimo, coinvolgente concerto performativo dal titolo Dies Irae, concerto per donne e martelli, è Gloria Dorliguzzo, coreografa e danzatrice, artista visiva e multidisciplinare, con un passato di arti marziali, formatasi negli anni alla scuola di Claudia Castellucci – da cui eredita il linguaggio, la filosofia, e la ricerca rigorosa -, e oggi anche coreografa per Romeo Castellucci.
Materia e suono compongono il binomio che muove la pratica artistica di Dorliguzzo. Nella performance in questione, il “Giorno dell’ira” è reso dalla partitura corporea e musicale delle donne, dalla verità della veemenza percussiva dei loro martelli che è gesto violento di lavoro, di condivisione, di rivendicazione sociale e umana. Le loro azioni nello spazio, singole e di gruppo, di complicità, di ribellione, scandite da un ritmo gestuale e ossessivo, sono delineate da spostamenti geometrici, da assembramenti sparsi, da traiettorie spaziali attorno e coi tronchi sollevati, portati in una sorta di solenne e sacra processione, seguita da movimenti rituali reggendo la lastra raffigurante il luminoso quadro di William Turner Sunrise with sea monster – la presenza di un pallone dorato a terra aggiunge un elemento di luce nel grigio della sequenza -.
Pregno di un’energia che è distruttiva e creativa insieme, Dies Irae, concerto per donne e martelli ha la forza perturbante, e poetica, di un atto di rivolta, un inno di intima liberazione dai poteri omologanti di una comunità femminile, che si fa manifesto di tutte le donne. Ulteriore passaggio performativo concepito da Dorliguzzo, sarà Symphony#2 con l’inserimento dell’uso della voce delle donne che diventano anche un coro.
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