© Festival de Granada | Fermín Rodríguez
Continua il viaggio, in diverse città europee, della compagnia Aterballetto con le Microdanze, singolari performance di breve durata concepite per essere usufruite in contesti urbani, architettonici, museali, disposte in un percorso con il pubblico itinerante e in funzione dell’ambientazione. Sono danze rigorosamente site specific – firmate, in totale, da 12 diversi coreografi -, la cui formula ha ulteriormente consolidato l’identità della Compagnia in Italia e all’estero grazie alla cura di Gigi Cristoforetti, direttore artistico, e di Sveva Berti, direttrice di compagnia.
Il progetto, ideato da Cristoforetti, si inserisce all’interno di Italia Danza, coprogettazione a cura di Direzione Generale per la Diplomazia Pubblica e Culturale del MAECI – Ministero degli Affari Ester e CCN/Aterballetto per la promozione del patrimonio artistico italiano all’estero. Dopo le recenti tappe al Victoria & Albert Museum di Londra, a Edimburgo per l’inaugurazione della nuova sede dell’Istituto Italiano di Cultura e alla Maison des Arts et de la Culture de Créteil, la compagnia si è esibita, con un doppio programma, nella suggestiva Alhambra, fortezza e dimora monumentale araba di Granada, in Spagna (il cui nome “La Rossa” deriva dal colore rossastro delle mura che la circondavano), dichiarata patrimonio dell’umanità dall’UNESCO nel 1984.
Nell’ambito del 74mo Festival Internacional de Musica y Danza, sul vasto palcoscenico del Generalife tutto incorniciato di cipressi, era prevista la ripresa del Don Juan di Johan Inger ma un infortunio occorso all’interprete principale ha costretto a modificare il programma. E così, oltre a un breve estratto del Don Juan – la scena corale del matrimonio tra Masetto e Zerlina -, sono state offerte tre coreografie, fiori all’occhiello della compagnia: la recente Rhapsody in blue della coppia di coreografi Iratxe Ansa e Igor Bacovich, un caleidoscopio di danze frenetiche, fluttuanti, fantasiose, pacate, che sembrano fare il verso ai singoli strumenti e al colorismo musicale della celebre Rapsodia in blu di George Gershwin; Reconciliatio, simbiotico passo a due femminile sulla musica del Chiaro di luna di Beethoven, firmato dal franco-albanese Angelin Preljocaj; e, di Inger, Bliss, sulle note improvvisate del Koln Concert di Keith Jarrett, una danza ariosa e vitale, con momenti corali, duetti e soli, in un dialogo giocato con leggerezza e complicità dagli interpreti sulle note pianistiche del celebre concerto del 1975.
In simbiosi con la monumentalità del luogo, immergendoci dentro i cortili, le terrazze, i giardini, gli edifici, le grandi e piccole sale all’interno di quella meraviglia architettonica che è l’Alhambra, ecco le sei Microdanze immaginate per questi spazi. A inaugurarle, nella Plaza de los Aljibes, è An Echo, A Wave di Philippe Kratz, con la coppia Giovanni Leone e Federica Lamonaca, brano che, invece della veduta del mare, ci offre quella di uno scorcio della città di Granada fra le montagne e il cielo. Ma il mare è presente nelle sonorità di Tommaso Michelini sulle quali i due performer in perfetta simbiosi danzano sinuosi, fluttuanti, in un moto ininterrotto che riflette gli stati d’animo del loro rapporto nell’intreccio amoroso che li stringe e li culla come un’onda marina. Spostandoci sulla terrazza superiore troviamo al centro una sorta di officiante vestito di un velo trasparente con delle parti dorate.
Fasciato del raffinato costume firmato da Bruno Fatalot, è il danzatore Clément Haenen che, in Eppur si muove di Francesca Lattuada, inscena un assolo bloccato sopra un bidone di latta arrugginito. Su quel piedistallo, serpeggiante intorno al proprio asse, in perfetto e precario equilibrio di gambe, abbassandosi e alzandosi, muovendo le braccia in più direzioni, plasmandole sulle note dolenti dell’Allegretto di Beethoven, sembra innalzare una preghiera verso il cielo tra morbidi scatti del corpo e movenze sussultanti.
Nello spazio dentro la Torres Bermejas un’altra coppia, Ivana Mastroviti e Albert Carol Perdiguer, dai body color carne, ingaggiano un duetto, Near life Experience, dapprima a distanza poi ravvicinato, tracciando linee corporee e spaziali che il coreografo Angelin Preljocaj ha immaginato come “un tentativo di prelevare sé stessi dallo spazio e dal tempo”. Nel Patio del Teatro della Fundacion Acosta troviamo un’algida donna in aderente abito bianco, Arianna Kob, seduta a un tavolino da bar, con accanto una sorta di bodyguard in corazza robotica, suo cameriere, Matteo Fiorani, che serve ad ogni suo ordine. Tutto è di plastica, e lo sono anche delle minuscole palline versate come bevanda dentro un calice, o il filo sottile che la miss estrae dalla bocca, mentre assume posture e piccoli movimenti a scatti.
La performance Turn the tide firmata da Roberto Tedesco, brevissimo estratto di una più ampia versione anche scenografica, è una denuncia dell’inquinamento delle microplastiche nel nostro organismo. Attraversando dei corridoi ci ritroviamo all’interno del Vestibolo per la performance A Gig di Diego Tortelli – “gig” è un numero di apertura o di chiusura -, un duetto tutto scatti e tensione muscolare, danzato da Estelle Bovay e Nolan Millioud dentro e fuori un tappeto, molto vicini allo sguardo del pubblico.
Spostandoci sulla Terraza inferior ancora battuta dalla luce del sole, troviamo già in movimento Gador Lago Benito collocata su una piattaforma bianca attorniata da parallelepipedi di diversa grandezza, nell’assolo Platform02 di Daniele Saul Ardillo. Quello spazio sarà continuamente ridotto dalla stessa performer spostando pedane sempre più piccole, adattando il suo movimento a nuovi equilibri precari e sperimentando inedite possibilità e limiti. «Quanto spazio ci diamo e quanto ci serve? Quali sono le conseguenze di uno spazio sempre minore per tutti?», sono le domande che hanno ispirato il coreografo. Compagnia in forma smagliante e rinnovata negli interpreti, l’Aterballetto ridisegna ancora una volta i luoghi, abitandoli con gli occhi della danza.
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