Categorie: Design

design_interviste | La fragilità del perturbante

di - 22 Novembre 2006

Barnaby Barford, classe 1977, ha studiato design di prodotto all’Università di Plymouth in Inghilterra e all’ISIA di Faenza. Proprio qui è nato il suo interesse per la ceramica, che lo ha portato a frequentare il master in ceramica e vetro al Royal College of Art di Londra. Disinteressato, come tanta progettualità contemporanea, ai confini che separano arte e design, è stato invitato a New York al ICFF Mart di Designboom. Oggi il suo lavoro è rappresentato dalla Gill David Galleries di Londra, ma opera anche con Thorstenvanelten e la sua compagna, la designer di giocattoli Valeria Miglioli.

Mi piacerebbe cominciare parlando degli aspetti tecnici del tuo lavoro. Puoi dirci qualcosa a proposito dei materiali che usi e dei trattamenti ai quali li sottoponi?
Utilizzo la ceramica: statuette di porcellana che compro in giro, oggetti prodotti in serie, pezzi d’antiquariato. Li taglio con il dremel, uno strumento rotante a lame intercambiabili, e li riassemblo con la colla. Alla fine dipingo i pezzi ottenuti con la vernice a smalto.

Hai cominciato con pezzi unici realizzati a partire da prodotti per la grande distribuzione, facendo uso sia di pezzi storici che moderni (il cosiddetto kitsch), e che, come dicevi, hai riassemblato per creare nuovi oggetti. Questo fatto di creare a partire da oggetti preesistenti, lo avverti, nel nostro tempo, come una necessità o come una scelta?
Per me è una necessità. Non ho lo spazio per un Kiln o per fare delle colate. Quindi questo modo di lavorare è per me l’ideale, non richiedendo l’impiego di grandi macchinari. Inoltre questo modo di operare mi fornisce un punto di partenza vasto e variegato. Le statuette che uso di solito sono ripudiate per principio. Mi piace l’idea di trasformare pezzi brutti in qualcosa di bello e interessante.

Cos’hanno in comune statuette di porcellana e pupazzi di McDonald’s?
Me?… Credo non ci sia niente di più lontano l’uno dall’altro.

Fu Aristotele il primo a formalizzare quelle che sono poi diventate due categorie fondamentali per tutta la cultura occidentale, vale a dire forma e materia, sostenendo che la forma è ciò che plasma il materiale mentre quest’ultimo è la sostanza, la pasta da modellare. Ora, tu metti insieme statuette di porcellana con le icone di McDonald’s in un modo che chiamerei -se mi passi il termine- postmoderno. Voglio dire: sembra che la tua materia da formare sia essa stessa una forma (o un insieme di forme). Sembra cioè che nella cultura contemporanea non si dia una materia in quanto tale, non ci sia nessuna sostanza, ma solo forme foggiate da altre forme…
Non sono affatto sicuro che ci sia tutto questo bisogno di produrre continuamente nuove forme a partire da nuova materia. Non è che io mi metta intenzionalmente a riciclare per il gusto di riciclare. È piuttosto che quando, come me, provieni da una formazione nel campo del design, ti rendi conto esattamente di quanta roba venga prodotta ogni giorno, il che fa capire anche quante cose vengano buttate via quotidianamente!

Perché la ceramica? Credi che il tuo lavoro debba rimanere strettamente in questo ambito o pensi di fare ricerca anche in altri campi? Magari continuando a riassemblare frammenti di quello spettacolo senza fine che è il nostro ambiente contemporaneo?
La ceramica è un materiale meravigliosamente versatile e quasi ogni idea può essere realizzata attraverso questo medium. Al Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza ho avuto modo di vedere ogni cosa, dai lavori di arte contemporanea agli oggetti di design prodotti industrialmente, fino alle statuette degli antichi Azetchi e ai più raffinati vasi dipinti a mano.

Qualunque cosa fai utilizzando la ceramica, questa acquista automaticamente migliaia di anni di storia. È stato uno dei primi materiali utilizzati dall’uomo, alcuni dei primissimi ritrovamenti archeologici sono statuette grezze. È un materiale con cui ci sentiamo perfettamente a nostro agio. Facciamo uso della ceramica tutti i giorni, ci siamo cresciuti insieme. È piacevole al tatto e sicura, e ti permette di apprezzare tutto questo in un unico pensiero senza curarti minimamente del prossimo, ciò che, peraltro, ti concede il lusso di una salutare irriverenza verso il materiale e i soggetti che tratti. Mi è comunque già capitato di lavorare con materiali diversi, come le resine, e certo non escluderei a priori la possibilità di sperimentare altri materiali.

C’è qualcosa che non è emerso durante questa intervista e di cui avresti voluto parlare? Forse vuoi salutare l’Italia, dove anni fa hai vissuto come studente…
Il mio primo vero interesse per la ceramica è nato mentre mi trovavo a Faenza. Ancora oggi ho forti legami con l’Italia, a cominciare dal fatto che la donna che sto per sposare l’ho conosciuta proprio mentre studiavo a Faenza (si chiama Valeria Miglioli, ora vive a Londra con me ed è probabilmente il principale designer di giocattoli del paese). Speriamo di tornare in Italia prima o poi, ma per ora ci piace stare a Londra. L’Italia mi ha sempre accolto con calore, fin dalla prima volta in cui ci sono stato. Mi piacerebbe molto realizzare qualche progetto lì. Adesso insegno al Central St Martin’s dove vorrei introdurre alcuni dei metodi che ho sperimentato a Faenza. Credo che grazie alle abilità di base che ci sono lì si possano fare delle cose davvero sorprendenti.

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Barnaby Barford
Thorstenvanelten

stefano caggiano

[exibart]


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