Categorie: Design

design_interviste | Ma davvero funziona?

di - 23 Luglio 2007

L’ultimo Salone Satellite di Milano ha festeggiato il decimo compleanno con la mostra Avverati, in cui erano raccolti i progetti che presentati alle scorse edizioni sono poi entrati in produzione. Anche il tuo duraturo rapporto con Fabbian Illuminazione iniziò da un Satellite di qualche anno fa. Che effetto fa per un giovane designer vedere il proprio progetto che si “avvera”?
Il mio primo progetto “avverato” è la lampada Abat-jour, che ho esposto nel 2002 al Satellite. Avevo cinque prototipi in mostra alquanto imperfetti ma ero talmente felice ed emozionata che li vedevo senza difetti. Un anno dopo è diventato un prodotto della Fabbian presente in catalogo ed è stata una nuova soddisfazione, poi le pubblicazioni (per la prima volta un mio prodotto su una rivista!) e poi il riscontro positivo delle vendite. Ma la vera gratificazione l’ho avuta quando ho incontrato Abat-jour in una casa.

Oltre a Fabbian, tra le aziende con cui ti rapporti figurano Coin, Fratelli Guzzini, De Vecchi, S. Pellegrino, Parentesi Quadra, Chimento, Dilmos, Malo e altre, tutte realtà imprenditoriali molto diverse dalla piccola-media impresa con cui lavoravano i Maestri del XX secolo. Qual è, ammesso che vi sia, il profilo della nuova imprenditoria italiana che fa ricorso ogg i alla figura del designer?
Questa domanda mi fa pensare al recente interesse della grande distribuzione al mondo del design. Design alla Coop, iniziativa promossa da Iacchetti (con un gruppo di noti designer) o la creazione di un nuovo marchio per COIN con progetti creati dalla Nazionale Design, sono esempi di un cambiamento di rotta che spero non sia solo la logica conseguenza della concorrenza asiatica, ma un nuovo modo di pensare alle potenzialità nazionali.

Il numero di studenti di design in Italia è aumentato del 400% in cinque anni. Viene da chiedersi che fine faccia questo esercito di creativi dopo la laurea. Davvero il mercato ha bisogno di tutti questi designer?
Probabilmente no, ma credo che l’aumento di studenti sia dovuto ad un’errata percezione del lavoro del designer. Poche volte viene detto che occorre una grande determinazione, disciplina, coerenza e dedizione.

Il lavoro del designer è presente sia una componente riflessiva e razionale che una componente sensoriale ed emozionale. Qual è il tuo personale modo di mescolare questi ingredienti?
La componente emozionale dà origine all’idea, che poi viene filtrata dalla componente razionale.

Un tempo progettare era un lavoro “virile”, che consisteva nel formare la realtà materiale sulla base delle grandi sintesi ideologiche prodotte in quantità dalla storia degli uomini. Oggi che il progettare è diventato una pratica “debole e diffusa”, accogliente e variegata più che escludente e sintetica, sono sempre di più le ragazze che intraprendono la professione di designer. Il baricentro del mondo del design si sta spostando sotto l’altra metà del cielo, disegnando una fenomenologia del progetto sempre meno “razionalistica” e sempre più sensoriale, elastica, pragmatica…
“L’uomo racconta la Storia, la donna racconta delle storie” (Shen Yuan).

Quando incorrono in contraddizioni gli uomini si rompono, come giocattoli ottusi. Le donne mostrano invece una maggiore flessibilità e una disponibilità più scafata nei confronti della costante reversibilità delle logiche contemporanee. L’elemento femminile sembra avere una funzione terapeutica nel mondo dei progettisti…
Perché capace di racconti ricchi di sfumature che suggeriscono con intelligenza e sensibilità nuove strade possibili per ottenere un prodotto industriale (Hella Jongerius, Patricia Urquiola).

Un motivo per cui vale la pena fare il (o la) designer, e un motivo per cui a volte davvero non ne vale la pena.
Vale la pena perché con questo lavoro non si conosce la noia ma non ne vale la pena se non sei pronto ad affrontare continue sfide.

Il tuo progetto più sofisticato, il tuo progetto più incompreso, il tuo progetto più sfuggente…
Il progetto più sofisticato è la lampada con i bicchieri per Fabbian dove la struttura della lampada stessa conduce l’elettricità. Per quello più incompreso mi viene in mente la poltrona Soufflé per Coin in fase di presentazione. Ho dovuto portare un prototipo a grandezza reale per dimostrare che non era necessaria alcuna struttura interna di sostegno, solo un sacco di pvc morbido e tanti cuscini. I cuscini, compressi l’uno contro l’altro, costituiscono la struttura e la loro quantità ne determina la rigidità. Il progetto più sfuggente è Helix, cavatappi in argento per De Vecchi, perché suscita incredulità, spesso mi è stato chiesto con stupore: “Ma davvero funziona?”.

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Fabbian

stefano caggiano

[exibart]

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