Nel 2008 hai vinto cinque primi premi in concorsi di design di cui due per delle sedie, Snow e Frida, prodotte da Pedrali. La seduta simboleggia la sfida maggiore per un designer. Cosa ha significato per te riuscire a vincere ben due volte?
Nessuno si ricorda mai della fortuna. Sì, ci è voluta un po’ di fortuna. Vincere questi premi ha significato acquistare consapevolezza del fatto che “qualcosa ha funzionato”. Il messaggio è arrivato al pubblico e alle giurie che hanno visionato i miei progetti, senza che ci fossi io fisicamente a spiegarli.
Battipanni, sedie, padelle, mestoli, macchinine, superfici… Fra i tuoi progetti c’è di tutto. Sei un designer onnivoro e questo è il frutto di una passione irrefrenabile e di una ricerca continua. Come metti insieme amore e metodo?
Lo chiamo amore anch’io, ma in realtà è passione, un fuoco che mi brucia negli occhi, come accade alle falene intorno alle luci notturne d’estate. Lavorare su un metodo mi permette di riservarmi una componente di controllo, misura, studio e gestione delle variabili. L’amore è pace, la passione è azione, il metodo è diplomazia. Cerco di evitare i rischi opposti: innamorarmi del mio metodo o rendere metodica la mia passione.
Hai detto che il design è incastrato fra due ruote: economia e comunicazione. Quanto per un designer è importante scoprire come funzionino questi meccanismi?
Più che “incastrato”, il design è “fatto” da queste due grandi ruote. Si tratta di essere consapevoli di far parte di un meccanismo che a livello commerciale deve saper chiudere il cerchio o intuire che ci siano dei fini economici da perseguire. La comunicazione contribuisce a completare la riuscita di questo sistema. Si risolve tra il rilasciare una buona intervista e il far in modo che il proprio prodotto riesca a “comunicare” di più o meglio.
Alla tua attività di progettista affianchi quella di giornalista. Ricordi il Moretti di Palombella rossa, quando – intervistato da una giornalista che parla per frasi fatte – sfinito la schiaffeggia e urla: “Come parla? Le parole sono importanti!”? Nella speranza che al termine dell’intervista tu non mi prenda a schiaffi: per te quanto sono importanti le parole?
Visto che parliamo di Moretti, voglio citarlo anch’io. Nello stesso film dice: “Noi siamo uguali agli altri, noi siamo come tutti gli altri, noi siamo diversi, noi siamo diversi. Mamma! Mamma, vienimi a prendere!”. Ecco, quando scrivo degli altri designer e dei loro progetti, lo faccio armato della componente di “diversità” che rintraccio nel loro lavoro. So anche che posso comprendere gli altri progettisti più di quanto riescano a fare altri giornalisti o critici, perché ne condivido il mestiere. Scrivere è un modo per dare un’ulteriore via d’uscita ai pensieri. Paradossalmente, certe volte mi capita di iniziare i miei progetti proprio scrivendo un testo. In principio fu il verbo, no?
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Grandissimo Odo!
Magari durante il salone organizziamo un aperitivo con Ali ed Oscar, se sono in città?
..ti invio notizie a breve
Un abbraccio
Daniela_ The Flat