Categorie: Design

design_mostre | Povero design! | New York, National Design Museum

di - 17 Settembre 2007
“Non è forse un gran male che così pochi progetti, così pochi prodotti abbiano veramente rappresentato qualcosa per le necessità umane?” Questa la domanda con cui Victor Papanek scuoteva la coscienza etica del design americano degli anni Settanta, e che oggi, venticinque anni dopo l’uscita di Progettare per il mondo reale, fa da legante agli oltre trenta progetti presenti nella mostra Design for the Other 90%, visitabile fino al 23 settembre al Cooper-Hewitt, National Design Museum di New York.
L’altro 90% a cui è rivolto il design presentato nelle sei sezioni tematiche dell’esposizione (acqua, energia, trasporti, alloggio, salute, educazione) è quella parte di popolazione mondiale che vive nelle favelas, si ammucchia negli slum metropolitani, riempie i campi profughi, e tutta insieme affolla il limbo senza luce che cade al di fuori delle indagini di mercato. A tanto, infatti, ammonta la percentuale di persone che non dispongono di servizi sanitari di base (quasi due miliardi e mezzo), vivono con meno di un dollaro al giorno (un miliardo e trecento milioni), non hanno accesso all’acqua potabile (un miliardo), vivono in condizioni di perenne denutrizione (ottocento milioni), non vanno a scuola (trecentoventicinque milioni), sono sieropositive (trentasei milioni di persone, quasi tutte nei paesi in via di sviluppo). Per loro, per la loro vita sul pianeta più affollato e sfruttato del sistema solare, sono pensati gli oggetti raccolti al Cooper-Hewitt.

Alcuni, come il computer da 100 dollari azionato a manovella nato per One Laptop per Child da un¡äidea di Nicholas Negroponte e progettato da Design Continuum, da Fuseproject e dal MIT di Boston, sono diventati ormai un simbolo dei nuovi modi con cui la sensibilità etico-sostenibile si dispiega nel mondo del progetto. In tutti i casi si tratta di oggetti fioriti in forme altamente creative perché scaturite non da operazioni di maquillage o décollage progettuale ma dal punto zero in cui ha origine la “forma” culturale in quanto tale, vale a dire dall’immotivato, incomprensibile bisogno di espandere la vita, che non può essere intrappolata in una cosa rigida come un “significato” o inadeguata come una “spiegazione”. “Gli uomini educano i figli perché questo ha dato buoni risultati?”, chiedeva Wittgenstein. Gli uomini progettano case, ponti, automobili, sedie e armi perch¨¦ questo ha dato buoni risultati? Vivono perché il vivere li ha resi “felici”? Queste domande gettano sulla questione della vita una luce sbagliata. Il solo fatto certo in tutta questa faccenda della vita e del suo significato è che si vive e basta, si vive tutti, ricchi della gratuità del vivere che non è dato né posseduto e che se viene imprigionato nella logica perfetta e ottusa del “significato” (razionale, metafisico o religioso che sia) si impoverisce fino a seccare.
Per “noi” 10%, come per “loro” 90%, nascono oggetti che articolano questa cosa libera dalle spiegazioni che è il vivere. Si tratta di vere e proprie primizie che brillano di autentica intelligenza inventiva, come la ruota per portare acqua Qdrum o il frigorifero in coccio con intercapedine di sabbia umida Pot in Pot, che mantiene la frutta e la verdura fresche per venti giorni. Sono idee che non richiedono un investimento ingente che non sia la semplice e meravigliosa intelligenza progettuale, come nel caso di Watercone, che senza alcuna tecnologia a consumo energetico consente di raccogliere rugiada da bere, o di Life Straw, una cannuccia-filtro per potabilizzare l’acqua mentre la si beve.

Per necessità o per virtù questi oggetti appaiono tutti incomparabilmente più freschi, creativi e scoppiettanti di tanti prodotti immessi nel nostro ricco 10% senza alcun tentativo di cimentarsi con la questione del senso, molti dei quali, come diceva Papanek, evocano la visione di “un tostapane violentato da una Cadillac in calore”. Ma questo noi/loro è del resto uno schema vecchio con scarso riscontro nella realtà. Anche il “nostro” nuovo design si è ormai fatto ampiamente liquido, interstiziale, imprevedibile, e non accetta più come unico campo di gioco l’obsoleto “sistema degli oggetti” ma deborda, si infiltra e genera invenzioni. Forse non è poi così grande la differenza fra progettare per il 90% della popolazione mondiale che vive al di sotto della soglia della povertà e per il restante 10% che fino a poco tempo fa si tratteneva (e in parte è ancora) al di sotto della soglia di creatività. Entrambi hanno bisogno che la loro vita continui ad essere alimentata. E infine la specie è una. O ci si salva tutti o non si salva nessuno.

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stefano caggiano

*foto in alto: Hans e Piet Hendrikse, Qdrum – ruota per il trasporto dell’acqua – 1994


fino al 23 settembre 2007 – Design for the Other 90%
Cooper-Hewitt, National Design Museum, 2 East 91st Street, New York, NY 10128
Info: other90.cooperhewitt.org

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  • Ma che bisogno c'era di denigrare cose indispensabili e preziose come "i" significati e "le" spiegazioni, anche e soprattutto "razionali", in nome di un astio immotivato verso "il" significato e "la" spiegazione contro cui non ha alcun senso scagliarsi perchè da tempo non ci crede più nessuno!? Mi permetterei di suggerire maggiore pudore concettuale nel trattare argomenti che esulano da competenze prettamente estetiche, generalmente esibite con maggiore cognizione di causa. Così si è rovinato un pur interessante resoconto su una formidabile mostra.
    cordiali saluti

  • Gentile Eugenio, la ringrazio per il complimento di cui, forse involontariamente, mi onora. Erodere il vecchio, pre-illuminista "pudore concettuale" è proprio il lavoro a cui è chiamato il pensiero critico. A volte con risultati decisivi, come nel caso dei grandi pensatori, a volte con esiti modesti e (vivaddio) discutibili, come sono certamente i miei contributi. Cordialmente, s.c.

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