Categorie: Design

design_tendenze | L’instabilità dei fenomeni

di - 14 Luglio 2006

Da diversi anni vediamo cartoni per le uova che diventano sedie, bottiglie per il latte che diventano lampade, tapparelle che diventano tavoli. La tendenza dei giovani designer a progettare oggetti partendo da altri oggetti è un dato acquisito, una condizione antropologica prima ancora che una scelta stilistica. Gli oggetti, e più in generale i fenomeni, sono instabili. Niente riesce più ad essere soltanto ciò che è.
Una volta presone atto però occorre compromettersi con valutazioni di merito. Perché un conto è non riuscire a mantenere il fenomeno all’interno di sé stesso (non riuscire a forzare una sedia ad essere soltanto una sedia), un altro è trasformare arbitrariamente qualunque cosa in qualsiasi altra, senza un senso estetico, senza un percorso di coerenza che incanali il rovesciamento di un fenomeno-oggetto in un altro fenomeno-oggetto.
Dai Satelliti ai locali di tendenza, dalla galleria all’evento espositivo dei giovani spregiudicati, troppo spesso assistiamo all’affastellamento di oggetti, costretti ad indossare le “rappresentazioni” che albergano nelle menti dei loro progettisti, evidentemente tutte importanti e degne di essere “espresse”. Dispiace per questi poveri oggetti. Si vede che si vergognano e che vorrebbero essere altrove, banalmente ma dignitosamente sé stessi. Anna Monichi, solo per citare uno dei casi più appariscenti, non più tardi di tre mesi fa al Satellite di Milano proponeva una sedia fatta con le Barbie, pezzo che senz’altro incontrerà il gusto di qualcuno, ma che sul piano della coerenza estetica rimane privo di forza, e fatalmente destinato a spegnesi non con l’esaurirsi del doping della copertura mediatica.
I pochi, incerti segni di novità vanno cercati altrove, dove l’ormai acquisita irrequietezza dei fenomeni non prende la via stanca e affollata del ready-made, ma quella umile e mirata dello scardinamento dei tratti marginali e costitutivi che dislocano l’identità fenomenologica (tipologica, semiologica, merceologica) dell’oggetto. Così, in un recente lavoro di Erika Lövqvist l’antica aspettativa di vedere le piastrelle disposte in griglie quadrettate è scossa da una brusca svolta formale dell’oggetto, che, improvvisamente, ci fa notare ciò che non avevamo mai notato, vale a dire non le piastrelle particolari della Lövqvist, ma la griglia regolare di tutte le altre.
Considerazioni analoghe valgono per Puddle Table di Susan Bradley. Il nuovo progetto della già apprezzata autrice di Outdoor Wallpaper nasce infatti dall’attento ascolto fenomenologico della “lastra di metallo”, la quale, dopo anni di appaiamento alla vernice, ne ha contratto la consistenza liquida e la persistenza cromatica, al punto da lasciare –volere– che tale caratterizzazione ne intaccasse l’unità strutturale. Esteticamente motivato risulta altresì il lavoro di Jesper K. Thomsen, che realizza un tavolo allungabile a partire –e adottandone la tecnologia– dalle comuni tapparelle per finestre.
Si potrebbe continuare a lungo. Questi ragazzi avvertono fortissima l’esigenza di ribaltare qualunque cosa capiti loro a tiro. La sfida che hanno lanciato agli oggetti “consolidati” è ormai ampiamente vinta, niente resiste alla loro estetica sovventrice (ma non sovversiva). Privi di punti di riferimento metafisici, non possono che prendere le mosse da forme empiriche esistenti, generando il transeunte dal transeunte. Tutto è fluido, fresco, incapace di durare. Forse per questo molto spesso i giovani progettisti scelgono oggetti già dotati di un’identità: non tanto per cambiarla, quanto per vedere se “tiene” (e non tiene mai). Di qui le ambigue dinamiche della loro attività. È come se fossero nati vecchi e si sforzassero di ringiovanire. Come se fossero nati liberi e cercassero in tutti i modi di entrare in qualche gabbia. A volte riuscendoci, a volte no.

link correlati
Erika Lövqvist
Susan Bradley
Jesper K. Thomsen

stefano caggiano

[exibart]

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