Categorie: fiere e mercato

fiere_resoconti | Cige + ArtBeijing

di - 12 Maggio 2009
Nel mese di aprile, la scena artistica di Pechino è stata particolarmente movimentata e confusa. Due grandi fiere d’arte hanno avuto luogo a distanza di una sola settimana l’una dall’altra. La sesta edizione del China International Gallery Exposition è stata presentata dal 16 al 19 al China World Trade Center. Successivamente, dal 27 al 30 è stata aperta ArtBeijing che, per il quarto anno consecutivo, è stata ospitata negli spazi dell’Agricultural Exhibition Centre.
Un intervallo di tempo brevissimo, che ha meravigliato sia gli operatori che gli appassionati del mondo dell’arte contemporanea. La consueta fiera settembrina, ArtBeijing, è stata infatti riproposta a sette mesi di distanza dalla precedente edizione, e forse a pochi altri dalla prossima, che pare sia prevista per l’autunno.
La China International Gallery Exposition si è rivelata notevolmente sottotono, fatto non imputabile alle sole ragioni economiche. La fiera pechinese, tradizionalmente più consolidata, quest’anno contava 84 gallerie da 20 Paesi diversi, numeri che poco differiscono dalle edizioni precedenti. Ma, com’è noto, la chiave per una manifestazione fieristica di successo è quella di poter vantare la presenza di gallerie d’alto profilo e riuscire a invitare un buon numero di collezionisti: il Cige, quest’anno, non è riuscito in nessuno dei due intenti.
Va detto che, dopo il successo dello scorso anno, l’attenzione di molti galleristi si è riversata sulla neonata e vicina Art HK (a Hong Kong dal 14 al 17 maggio). Rispetto al Mainland, Hong Kong è stata duramente colpita dalla crisi, tuttavia mantiene quegli incentivi, sgravi fiscali e confort che la rendono decisamente più attraente. Per quel che concerne i collezionisti, se ne son visti assai pochi; la maggioranza dei visitatori era costituita, come al solito, da studenti famelici, pronti ad arraffare qualunque cosa fosse free e a collezionare ming pian (biglietti da visita).

Il secondo piano, mal segnalato, è stato snobbato da gran parte del pubblico, pur trattandosi della parte più interessante della fiera, ov’erano allestiti Mapping Asia e Young Asian Artist Solo Shows: from Tokyo to Istanbul: una serie di progetti speciali ospitati su una superficie di 3mila mq, con una sezione dedicata a personali di artisti emergenti locali e internazionali, in collaborazione con gallerie e organizzazioni non profit. I progetti avrebbero dovuto esser valutati da un International Art Expert Committee, formato da direttori di musei e curatori provenienti dall’Europa e dagli Usa; una giuria chiamata a nominare i tre lavori più interessanti. Ma il verdetto non è mai stato reso noto e il premio mai consegnato: un enigma che coinvolge i vertici dell’organizzazione stessa.
Fra i progetti da segnalare, la serie fotografica e il video dell’artista Ma Qiusha, presentato dalla Galleria dell’Arco (Palermo-Shanghai); i disegni di Lee Jin Ju, coreano proposto dalla I M Art Gallery di Seul; l’installazione sonora di He Xiangyu presso l’Air Media Art Salon; e il forte impatto creato dal lavoro site specific dell’artista messicano Daniel Ruanova (Arcuate Arte Contemporaneo).
La manifestazione sarebbe passata presto all’anonimato se non fosse stato per gli interventi performativi che hanno richiamato l’attenzione e convogliato una buona dose di adrenalina al piano superiore. Tutto ciò è stato possibile grazie al progetto supportato dalla Nowhere Gallery di Milano e ideato da Alessandro Rolandi, artista italiano residente a Pechino da ormai cinque anni. Un gioco sofisticato che ha saputo legare artisti provenienti da Europa, Africa e Asia mediante il linguaggio universale dei tarocchi. Le carte, infatti, hanno corrispondenze simboliche sia in Occidente che in Oriente e, grazie alla loro natura provocatoria e misteriosa, possono essere analizzate secondo vari punti di vista (numerologia, iconografia ecc.).

Onirio, il personaggio creato da Rolandi – ovvero il primo arcano maggiore, The Magician – aveva precedentemente consegnato a ognuno dei partecipanti una carta, invitandoli a svilupparla e a interpretarla a vari livelli: esteriore, interiore, culturale e fisico. Lo show, intitolato The blind leading the blind, ha visto diciotto artisti interagire col pubblico e con le opere presenti negli stand.
Sabato 18 aprile, un corteo a metà tra processione religiosa e mascherata grottesca, composto da bizzarri personaggi bendati, si è riunito presso la hall del Cige. A guidarli, lo stesso Onirio, coadiuvato da un musico che, scandendo i movimenti, ha permesso agli artisti di procedere al primo piano. Di stand in stand, al suono di una melodia ipnotica, a ogni artista è stato assegnato uno spazio e, come una scultura vivente, ha atteso un segnale per risvegliarsi. Gli artisti hanno quindi iniziato a stabilire un dialogo, creando un telaio performativo, una creazione collettiva che ha aggirato i confini regionali e nazionali, senza perdere l’identità delle personali radici culturali.
Raggiunto quest’apice, dopo una ventina di minuti, un secondo fischio ha interrotto bruscamente le performance, lasciando un vuoto e un silenzio che invitavano attivamente i visitatori a trarre conclusioni e sensazioni. Interessante è stato notare le diverse attitudini di occidentali e orientali. Per i primi è stato naturale esternare in modo irruento, con un’enfasi gestuale o vocale, mentre gli asiatici hanno mantenuto un carattere più silenzioso e meditativo.
La realtà è però che una fiera, per “riuscire”, ha bisogno di vendere: i galleristi non si accontentano di azioni catartiche e scopi antropologici legati all’arte. Di conseguenza, la kermesse si è conclusa con un generale malcontento.

In seguito a questa prima delusione, si è creata un’attesa maggiore nei confronti del secondo appuntamento fieristico del mese. Ma in fondo, nemmeno questo è riuscito a soddisfare le aspettative. Nonostante il restyling e la diversificazione attuata, ArtBeijing rimane saldamente ancorata alla sua storia e al ruolo di vetrina del mercato interno.
Certamente, rispetto al Cige, gode di una location più elegante e di spazi più accoglienti, e la supera per livello qualitativo. Il direttore della fiera, Meng Yang, ha saputo rinnovare l’appuntamento, dividendolo in due momenti: ArtBeijing e PhotoBeijing. Una buona strategia di marketing, ma anche la dimostrazione di una ricerca piuttosto accademica.
Quest’anno lo show è stato comunque arricchito da numerose iniziative, conferenze e progetti artistici, sia dentro che fuori l’area espositiva: FashionBeijing, Torch of Love Fund (collettiva in memoria alle vittime del terremoto nel Sichuan) e la mostra tematica Art Unforbidden, alla quale hanno partecipato, tra gli altri, Li Chao e Wang Guangle, due dei dodici artisti presentati nella sezione cinese della Biennale di Praga 2009.
La sfida tra le due fiere si basa in realtà su armi impari. ArtBeijing può vantare il supporto governativo e attingere ai ingenti fondi (circa 5 milioni di euro), cosa che ha ovviamente aiutato molto la promozione e l’organizzazione. Ma si è riscontrato un errore di tempistica, di per sé ovvio e prevedibile: la concomitanza col Cige e soprattutto l’anomala vip preview domenicale. La fiera si è svolta quindi in giorni lavorativi, con un’affluenza di pubblico decisamente esigua. Tanto che alcuni stand – già lunedì, primo giorno di apertura ufficiale – si presentavano deserti o, situazione piuttosto simpatica, con gli standisti addormentati.

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cecilia freschini

[exibart]

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