La memoria come un tessuto sul quale il tempo può allungarsi o restringersi, una superficie che si adatta alle asperità delle nostre esperienze passate e le ricopre o le mette in evidenza, trasformandole nelle immagini di un presente continuo. Così, da una stratificazione di ricordi da rielaborare, prende le mosse Stitching memories, progetto partecipativo di Cristina Cusani e Dafne Salis, che sarà presentato sabato, 14 settembre, a Napoli, negli spazi storici di Villa Pignatelli – Casa della Fotografia, nell’ambito del Napoli PHOTO Festival promosso dall’Associazione Flegrea PHOTO.
Obiettivo del progetto è esplorare come le strutture di potere si radichino nella memoria privata. Attraverso un processo partecipativo di autocoscienza, i partecipanti sono guidati a riflettere sul loro passato famigliare, luogo nel quale potrebbero aver agito forme di dominio anche non immediatamente riconoscibili, come patriarcato, classismo o colonialismo.
Il progetto è scandito da due fasi: la prima è una raccolta corale di esperienze, la seconda è un’elaborazione e restituzione di quelle memorie. Durante i laboratori, ciascun partecipante porta una fotografia dal proprio archivio di famiglia, a rappresentare un ricordo che si vorrebbe trasformare. Attraverso il ricamo, le immagini vengono alterate, tanto fisicamente che simbolicamente, modificando la narrazione visiva del passato. Ogni filo cucito diventa un gesto di riparazione della memoria, un tentativo di suturare le ferite lasciate dalle dinamiche di potere. Il termine inglese “stitch” evoca sia il punto del ricamo sia il punto di sutura, rendendo evidente la doppia natura di questo processo: creativo e curativo al tempo stesso.
I partecipanti condividono le loro esperienze, descrivendo il significato delle loro trasformazioni fotografiche e confrontandosi con le storie degli altri. In questo scambio, emergono le tracce sottili delle forme egemoniche che attraversano la vita quotidiana. Ogni incontro viene documentato tramite registrazioni audio, mentre le fotografie ricamate vengono raccolte, concludendo così la fase di “rammendo” della memoria.
La seconda fase prevede una restituzione pubblica: le opere e le storie raccolte verranno esposte in una mostra e pubblicate in un volume dedicato. Con l’obiettivo di coinvolgere almeno 100 persone, questa indagine vuole offre uno sguardo ampio e significativo su come le strutture del potere riescano a infiltrarsi anche nell’intimità delle nostre vite. Le fotografie e le narrazioni personali permetteranno al pubblico non solo di leggere queste esperienze ma anche di ricondurle a testimonianza di fenomeni più vasti.
«Questa ricerca sul patriarcato ci sembra importante in questo momento storico in cui la violenza ai danni delle donne si è fatta spazio nel discorso pubblico, per poter ragionare insieme su come sia il patriarcato che altre forme di potere in generale siano parte attiva delle nostre vite», spiegano Cusani e Salis. «In particolare, la fotografia familiare e d’archivio, intima e preziosa, ci permette di partire dalla storia personale di ognuno per poter arrivare ad una presa di coscienza. La narrazione personale ha il potenziale di mettere in luce la sistematicità di eventi se inserita all’interno di una narrazione collettiva», continuano le artiste, che anche nelle loro ricerche autonome hanno lavorato spesso sul dialogo tra identità e collettività, usando il linguaggio fotografico e superandone i confini: «La fotografia quindi, da sempre custode della memoria, in questo caso viene utilizzata per riscrivere la storia in un processo di rilettura e revisione critica degli eventi».
Durante l’incontro del 14 settembre a Villa Pignatelli, oltre a presentare il progetto, saranno anche raccolte le adesioni per i prossimi laboratori.
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La mia fotografia è intrisa di solitudine, bellezza e femminilità.