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Più di ogni altra forma di superficie, il cerchio tende verso la quiete incolore, perché non conosce la violenza dell’angolo. Il punto centrale del cerchio è, quindi, la quiete più perfetta del punto non più isolato”. Le parole di
Kandinsky sembrano calzare perfettamente al dittico di
Marco Tirelli, dove i volumi sferici emergono dallo sfondo d’ombra e si fanno generatori di uno spazio tridimensionale dominato dal rigore geometrico, dall’equilibrio e dall’armonia della forma.
I bianchi e i neri di quest’opera si mescolano e si confondono, infatti, nelle tenui tonalità del grigio, che riportano l’artista a memorie visive dell’infanzia, quando il giorno e la notte interpretavano arbitrariamente la realtà degli oggetti, e regalano all’osservatore sensazioni di quiete, di muto silenzio e tranquillità.
Metafisica geometrica, proporzioni e toni impalpabili dominano le opere di Tirelli che, assieme a quelle di Pizzi Cannella e di Gianni Dessì, sono ospitate negli spazi della galleria udinese, che mette in mostra un’interessante selezione dei lavori più recenti di tre artisti della Scuola di San Lorenzo. Accumunati da una ricerca formale che riproponeva – nei primi anni ‘80 – il mezzo pittorico, il gruppo di sei artisti condivideva gli spazi dell’ex Pastificio Cerere, nel quartiere di San Lorenzo a Roma, elaborando linguaggi diversi e autonomi l’uno dall’altro. Indipendenza artistica che è riscontrabile tutt’oggi, osservando l’eterogenea esposizione friulana.
Piero Pizzi Cannella è presente, infatti, con tre opere di stampo certamente più figurativo di Tirelli: i ventagli sospesi del
Bolero, le conchiglie rosa del
Diario dal mar dei Caraibi e il gigantesco
Concerto per pianoforte sono soggetti e temi pittorici riconoscibili. I colori caldi e vellutati contribuiscono ad astrarre le figure dal contesto e a bagnarle di atmosfere poetiche e fragili. Come nel caso del pianoforte, dove i toni sabbiosi della tela grezza e del cartone rendono l’oggetto morbido, mentre la costruzione bidimensionale e schiacciata restituisce una figura nostalgica e solitaria. Rarefatta, spettrale e indefinita, la sua pittura s’impone anche attraverso le grandi dimensioni, che creano una sorta di soggezione nello spettatore e che accennano a una tensione emotiva intensa e sentita.
Opportunamente separato dagli altri, è esposto al piano inferiore della galleria il lavoro di
Gianni Dessì. Qui i toni sono più aggressivi e violenti. Domina il rosso, che si evidenzia sui fondi neri e fortemente materici, e che tratteggia vaghe idee di figure umane e geometriche. Una geometria che, questa volta, è istintiva e irregolare, impiantata e costruita con la massa pittorica.
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QUESTI sono artisti da Biennale e non quel gruppo di incantatori di serpenti prescelti.
Questi tre artisti rapresentano, nei vari aspetti artistici, quanto di più efficace vi sia ora sul territorio nazionale.
Se vogliamo essere più meramente venali pensare a quanto costa una solita faccia di Chia al confronto di una opera di Pizzi.... si capisce come questi artisti rappresentano di certo, forse insieme a Nunzio, quanto di meglio vi sia di non ancora valorizzato appieno tra gli italici confini.