Un tempo i turchi erano temutissimi, le città erigevano mura e contrafforti per tenerli a bada e il terrore degli Ottomani dilagava un po’ ovunque. Non a torto, considerando che nel 1453 Maometto II aveva conquistato l’antica Costantinopoli –il gioiello dell’impero romano d’Oriente– e si preparava a minacciare l’Europa con i suoi eserciti capaci di assoggettare vasti territori.
Un passato conflittuale in cui l’incontro tra le due civiltà (quella cristiana occidentale e quella orientale musulmana) era tutt’altro che pacifico e le uniche forme di scambio e di confronto erano perlopiù sotto il segno della sottomissione e dell’omaggio verso il nemico vincitore. L’allestimento della Caserma Montesanto nella celebre cittadina a stella lo sottolinea, esaltando la natura anche contraddittoria dello scontro –oggi attuale come mezzo millennio fa- di queste due culture.
La prima parte della mostra è dedicata alle trasformazioni subite da Costantinopoli immediatamente dopo la sua conquista. Trasformazioni che miravano –lo si immagina– a cancellare le vestigia del mondo romano cattolico per dare alla città un volto decisamente orientaleggiante ed islamico. Maometto II fa erigere il suo primo palazzo, l’Eski Saray mentre nel 1463 viene cominciata la costruzione del famosissimo Topkapi Saray, oggi prestigiosa sede museale. Di questo fermento architettonico ci sono rimaste le carte geografiche in cui si cercava più o meno palesemente le vestigia del passato. E fu così che l’editore veneziano Giovan Andrea Valvassori diede alle stampe una pianta prospettica in cui segnalava i vecchi siti romani e le nuove realizzazioni con una vena forse polemica mentre il viaggiatore topografo Pierre Gilles (1489-1555) si era recato a Istanbul per cercare le testimonianze di quella civiltà che i turchi stavano distruggendo.
La seconda sezione ricorda la grande vittoria veneziana di Lepanto del 1573, seguita dagli accordi di pace con Selim II. L’avvenimento venne immortalato con il ritratto del diplomatico autore dei negoziati Marcantonio Barbaro mentre regge con aria trionfante il foglio della capitolazione ottomana. Ma i veneziani non si limitarono agli scontri bellici e da bravi commercianti intrattenevano anche innumerevoli rapporti d’affari con l’impero ottomano dove fiorivano le arti più diverse: l’oreficeria, la calligrafia, l’illustrazione libraria, la ceramica e la fattura di tappeti. La quinta e la sesta sezione analizzano appunto l’organizzazione dei traffici commerciali nonché la magnificenza delle merci provenienti dall’Oriente e le opere proprio a queste ispirate e in modo particolare la preziosa oreficeria di cui i contemporanei avevano giustamente da meravigliarsi.
Eppure non era tutto oro quello che luccicava: accanto agli scambi ed alle opere d’arte andavano infatti proliferando le fortificazioni delle città cristiane. Palmanova e Corfù costituivano all’epoca i capisaldi dei confini Occidentali. Corfù in particolare dovette subire diversi attacchi ottomani e venne ripetutamente potenziata nel corso del tempo. Palma rimase invece inviolata e a dispetto della sua funzione originaria non venne mai usata come bastione di difesa contro i Turchi. Anzi, si apre oggi a loro con sincera amicizia.
marta di benedetto
mostra visitata il 29 giugno 2006
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