Il 3 aprile scorso circa 400 persone, tra cui Jimmy Van Bramer – consigliere del Distretto di Queens – e David Byrne, musicista e fondatore dei Talking Heads, si sono radunate per chiedere al Presidente Trump il finanziamento delle agenzie per la conoscenza delle arti che, invece, la Casa Bianca vorrebbe abolire.
Van Bramer ha motivato la propria partecipazione alla manifestazione affermando che i milioni di americani hanno il diritto di potersi esprimere attraverso la cultura e l’arte e, in effetti, la manifestazione Rally to save the arts ha dato modo ai partecipanti, soprattutto agli artisti, di esprimere la propria opinione riguardo l’opportunità di mantenere, se non incrementare le sovvenzioni a favore degli enti che l’amministrazione Trump – al pari dei predecessori Reagan e Clinton – sta considerando di eliminare per dirottare i finanziamenti statali al settore militare ed alla difesa in genere.
Se alle intenzioni seguisse l’attuazione del programma, enti quali The Institute of Museum and Library Services (MLS), The National Endowments For the Arts and Humanities (NEA & NEH) e la Corporation for Public Broadcasting (CPB), si troverebbero nell’impossibilità di operare.
Questo vorrebbe dire che verrebbero a mancare quei benefici che l’arte e la cultura in generale apportano ai comportamenti della popolazione, specialmente tra il ceto più basso. Da diversi anni è emerso infatti che c’è una relazione tra l’abbassamento dei crimini nelle zone in cui sono presenti poli di aggregazione culturale (biblioteche, centri culturali e di recupero, gallerie e musei).
Anche Andrea Louie, direttore esecutivo di Asian American Arts Alliance, è dell’idea che il denaro potrebbe dar voce alle storie delle minoranze americane, ritenendo necessario preservare quelle diverse identità culturali presenti in tutta la Nazione.
I finanziamenti governativi pertanto risultano sproporzionati rispetto ai benefici che potrebbero apportare quelli di tipo pubblico all’arte. (Giulia Pavesi)