Accademia di Belle Arti di Venezia
Ă forse dal 1979, da Lâarte bella. La questione delle accademie di belle arti in Italia di Francesco Poli e Luciano Caramel, che in Italia non si pubblicava una compiuta analisi-sintesi dello stato di queste strane Istituzioni, che dalla loro fondazione non hanno cessato di formare i migliori artisti italiani e insieme di avere enormi problemi di sopravvivenza. Certo, a Napoli, nel 2013, grazie a Giovanna Cassese, il convegno di studi âPatrimoni da svelare per le Arti del futuroâ, sulla salvaguardia dei beni culturali delle accademie di belle arti dâItalia, e il denso volume Accademie patrimoni di belle arti, attirarono finalmente lâattenzione su una delle bizzarrie della gestione dei beni culturali italiani, gli straordinari fondi storici delle accademie e dei conservatori affidati unicamente al buon cuore dei rispettivi direttori e docenti, che continuano a dimostrarsi ben piĂš abili e consapevoli dei Ministri che dovrebbero amministrarli. âPatrimoni da svelare per le arti del futuroâ, fu un appello talmente chiaro da non dover essere ora spiegato, tuttavia sottolineiamo, ancora una volta, che senza conoscenza del passato non câè futuro. E infatti, in quello stesso Convegno di Napoli (e nel volume dei relativi âAttiâ), partendo dalla disamina del loro patrimonio culturale si giunse allâanalisi del presente, e del futuro, delle accademie di belle arti. Oggi, il libro di Antonio Bisaccia, Burocrazzismo e arte, rilancia la necessitĂ , indifferibile, di occuparsi e risolvere, da parte della politica, i problemi che avviliscono lâinsegnamento delle arti in Italia.
E qui si narrano le alterne vicende della legislazione riguardante lâAFAM: circa 155 istituzioni, tra cui 20 Accademie di belle arti statali, 59 Conservatori di musica statali, 18 ex Istituti musicali pareggiati, 5 Istituti superiori per le industrie artistiche, 19 Accademie di belle arti legalmente riconosciute, unâAccademia nazionale di arte drammatica, unâAccademia nazionale di danza e 32 altri Istituti autorizzati a rilasciare titoli. Insomma, Alta Formazione Artistica Musicale e Coreutica. Una âpomposaâ denominazione, annota saggiamente Tomaso Montanari nella Prefazione, che di alto ha solo, aggiungo, lâabnegazione e lâimmensa pazienza di chi vâinsegna. âLa legge di riforma del settore-scrive Bisaccia- la 508/99, avrebbe dovuto sancire lâequiparazione al modello universitario. Nella sostanza, fattori oggettivi dimostrano che si tratta di unâequiparazione cosmetica. La riforma ancora attende â tra gli altri â il regolamento recante la programmazione, il riequilibrio, lo sviluppo del sistema e il reclutamento. Ovvero manca quella carta costituzionale che dovrebbe guidare gestione, scelte, organizzazione e sviluppo. Questa situazione ha costruito negli anni una sorta di âbolla perpetuaâ dalla quale non si esceâ. Bolla, aggiungo, di cui ci si potrebbe almeno avvantaggiare per ben riflettere sullâandamento volgarmente aziendalistico dellâUniversitĂ in genere, che le accademie di belle arti credo non dovrebbero emulare, iniziando a interrogarsi, ad esempio, sui diplomi a pieni voti conseguiti dalle centinaia di studenti cinesi che le frequentano, non conoscendo una parola dâitaliano. E inoltre, un invito a ben riflettere sulla necessitĂ di costruire un modello di riferimento alternativo, basato sulla specificitĂ dellâinsegnamento degli istituti AFAM, dove le lezioni teoriche sono in dialogo intimo col fare dei laboratori e con la conoscenza del lavoro creativo degli studenti; dove lâintrecciarsi di pratiche e teorie dellâarte si rispecchia nella valorizzazione critica e nella âscopertaâ, da parte dei docenti, di giovani talenti . Ma ecco che per orientare il lettore nella distinzione tra cause e conseguenze, Bisaccia alterna considerazioni di storia della cultura e filosofia dellâarte a incursioni nella legislazione che ha finora reso le istituzioni AFAM un limbo. E quindi, di seguito, assenza di fondi per la ricerca, di dottorati, di concorsi che selezionino e retribuiscano in modo adeguato un corpo insegnante di âalta formazioneâ⌠Tuttavia lâautore, per fortuna di tutti noi, non si limita alle lamentazioni e indica strade utili per affrontare le problematiche che hanno nutrito lâintero suo discorso. Ascoltiamolo:
âA) Emanare un decreto-legge (o legge-delega) che sancisca lâauspicabile e graduale passaggio nel sistema universitario: con la garanzia di conservazione delle specificitĂ storiche e la garanzia di salvaguardare â in modo completo â lâautonomia delle AFAM (cosa peraltro prevista in diversi DDL passati, finiti al macero). Tale articolata confluenza sarebbe congrua alla situazione vigente nella stragrande maggioranza dei paesi europei e nel resto del mondo, dove esistono le FacoltĂ di Belle Arti allâinterno delle UniversitĂ , ponendo fine a questa schiacciante disparitĂ di trattamento nei confronti di queste istituzioni.
(B) Emanare una norma che riformi la 508/99 nella direzione di una vera autonomia delle AFAM prevedendo, ad esempio, anche un sistema di reale finanziamento delle sedi alla maniera del FFO delle UniversitĂ (fondo di finanziamento ordinario, con la sua âquota baseâ e la sua âquota di riequilibrioâ, cosĂŹ come previsto dalle norme di settore), pur mantenendo un assetto giuridico separato dalle stesse. O almeno che si concluda il suo processo autonomistico elaborando magari un Testo Unico che metta in ordine lâesistente e imprima un netto passo innovativo.
Ă chiaro che si tratta di due posizioni antitetiche che hanno luci e ombre, lati positivi e negativi. Ma è necessario interrogare la politica e il governo su cosa vuole fare di queste istituzioniâ.
Antonio Bisaccia
Burocrazzismo e arte
Cronaca di unâequiparazione cosmetica nellâAlta formazione Artistica Musicale e Coreutica
Prefazione di Tomaso Montanari
Roma, Castelvecchi, 2020
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