Categorie: Libri ed editoria

libri_monografie | Gary Hill | (electa 2005)

di - 30 Gennaio 2006

Come molti artisti della sua generazione, Gary Hill non ha svolto studi d’arte regolari: la sua formazione corre parallela alle esigenze tecniche del lavoro video, nonché all’incontro con alcuni autori decisivi, da Gregory Bateson a Maurice Blanchot. Incontri spesso casuali, come nel caso di Derrida, considerato che la prima vera decostruzione di cui Hill ha memoria non è quella del filosofo francese quanto quella legata all’LSD. Non sorprenderà dunque che l’artista californiano confessi come da giovane mai avesse sentito parlare di Ed Ruscha. Oppure che, prima del suo trasferimento sulla East Coast e delle visite rituali alle sue collezioni museali, nel pieno degli anni Sessanta, non conoscesse affatto né la pop art né il minimalismo. Del resto chi, in quegli anni di sfrenata sperimentazione, lavorava con il video, tendeva a considerarlo meno una forma d’arte che un’“estensione del proprio sistema nervoso attraverso la telecamera”.
“Non mi resi conto dell’esistenza della videoarte in quanto tale fino a quando non cominciai ad esporre il mio lavoro”. Una lezione per quegli storici dell’arte che, muniti di uno sguardo retrospettivo, sono attenti solo a ricostruire discendenze: “Stavo scoprendo una serie di generi senza conoscerne lo sviluppo storico”; “sono post-storicista, nel senso che non lavoro granché con la storia”. Come scrive giustamente Giovanni Agosti (citato di recente da Federico Ferrari): “La tradizione bisogna riuscire ad inventarsela. E qui è il punto delicato, perché nel sentirsi parte di una tradizione, compi un gesto critico”. La pubblicazione, in un’edizione asciutta e ben curata, delle interviste e degli scritti di Hill, nonché di alcuni testi critici fondamentali –Derrida e Hans Belting in primis– ci offre ora la possibilità di vedere dal di dentro come si inventa una tradizione.
Hill non ha anzitutto in simpatia la parola video, “per via dell’enfasi sull’immagine”. Il video designa per lui piuttosto uno “spazio di pensiero”, una “topologia del tempo”, un dispositivo che gioca con un feedback capace di incorporare temporalità diverse. Le immagini pagano inoltre un debito fortissimo con il linguaggio, al punto che queste esistono e riempiono uno spazio solo finché persiste l’emissione della voce. Non appena le sue modulazioni si arrestano l’immagine scompare, come un televisore senza più corrente. Al classico rapporto tra scrittura e immagine Hill preferisce così quello tra voce e immagine, tra suono e visione. La lingua non è considerata come mezzo di comunicazione o peggio di informazione ma è ridotta al suo aspetto fonologico, come accade quando si parla alla rovescia: un sotterfugio per raggirare il senso veicolato dalle parole.
Questa particolare audio-visione –che connette dunque dimensione visiva e auditiva– fa sì che lo spazio dell’immagine si riempia di silenzio o che gli spettatori siano avviluppati dal suono, secondo un’idea di La Monte Young. O che la lettura di un libro somigli più ad un atto performativo che ad un’esperienza intima del soggetto, o che infine la vista si manifesti più nella nudità del corpo che nella sagacia dello sguardo. Esperienze lontane da quella teatrale, in mancanza di fili narrativi da seguire. L’imprevedibilità svolge infatti un ruolo centrale, poiché l’artista non esercita un controllo totale sul proprio lavoro, assecondando il carattere genuinamente performativo di uno spazio video in cui percezioni visive e sonore si incontrano. Per questo vi è “un senso di opacità del mio lavoro nel non rivolgersi a un pubblico. Che anzi, a dire il vero, non si rivolge ad alcunché di esterno”. Al punto che uno dei sogni di Hill è di creare una performance per e con gli animali –“e solo per loro”: come immaginare qualcosa di più imprevedibile?

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Gary Hill in un articolo di Venturi publbicato su Atopia

riccardo venturi


Gary Hill – Scritti, interviste (a cura di Ester Coen)
Electa, Milano 2005
ISBN 88-370-3631-0
Pagg. 187, € 30
Info: www.electaweb.it

la rubrica libri è a cura di marco enrico giacomelli

[exibart]

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