Categorie: Libri ed editoria

libri_saggi | What Makes a Great Exhibition? | (reaktion 2007)

di - 29 Ottobre 2007
Il ruolo del curatore è uno dei fattori che, da qualche decennio, caratterizzano in maniera inconfondibile il sistema dell’arte. Un fenomeno relativamente recente, che ha investito innanzitutto l’arte contemporanea. L’Italia è coinvolta appieno nel processo, con le peculiarità d’obbligo: la quantità dei curatori è enorme, la qualità media di livello piuttosto scarso. Un dato di fatto che, fra le molteplici cause, deriva dal profluvio di corsi e workshop che, nella maggior parte dei casi, risultano inutili se non dannosi. D’altro canto, la riflessione “teorica” sul ruolo del curatore latita in maniera preoccupante, se si escludono rare eccezioni a carattere libresco (un paio firmati da Domenico Scudero) e simposiale (recentemente a Torino presso l’Accademia Albertina).
A Philadelphia esiste da una decina d’anni un istituto che focalizza le proprie attenzioni proprio sulla figura del curatore, organizzando convegni come Curating Now: Imaginative Practice/Public Responsibility e pubblicando saggi che sono pietre miliari per una riflessione matura sull’argomento. Il curatore vi è inteso come quella figura posta sul crocevia dove s’incontrano arte, opere, istituzioni e pubblico, dando vita alla mostra.
La miscellanea in oggetto, almeno nelle intenzioni di Paula Manicola, si sofferma sulla pratica curatoriale, cercando di evitare di impastoiarsi in un’“indagine teorica o accademica sulla natura delle mostre” e al contempo di non fornire “un mero practicum. Poiché “è nella pratica che le congetture aprioristiche e le teorie discusse minuziosamente incontrano la resistenza dell’empirico e del contingente”. Fra gli interventi più quotati dei quattordici curatori interpellati, in gran parte mid-career -oltre a Jeffrey Kipnis, che spiega perché non può scrivere il saggio richiesto, e a Iwona Blazwick, che riflette sulla propria esperienza alla Whitechapel- si trova un lungo intervento di Robert Storr, che abbiamo avuto modo di discutere prima della Biennale su questa testata. In sintesi, Storr propone di modulare il ruolo dell’exhibition-maker su quello di un editor: una sorta di ostetricia professionistica che dall’editoria si diffonderebbe nel campo dell’arte. E tuttavia, il paragone sfora facilmente in ambito cinematografico, dove il regista-curatore si trova impegnato a presentare e difendere una o più tesi, nella fattispecie la critica al post-moderno e una concezione plurale del Modernismo. Con risultati, almeno a Venezia, che non hanno entusiasmato i più. È proprio questo il punto sul quale il volume insiste: come rendere great una mostra nella pratica oltre che nelle intenzioni.
Fra gli altri interventi, segnaliamo infine quello di Paola Antonelli, “cervello in fuga” approdato a New York dopo aver curato un ciclo di mostre sul design alla Otto Gallery di Bologna, protagonisti personaggi del calibro di Matali Crasset e Satyendra Pakhalé, e ideatrice di un’affollata rassegna sul design securitario al MoMA. E poiché siamo a cavallo fra un tris di Biennali europee e altrettante asiatiche, consigliamo inoltre la lettura del paper di Carlos Basualdo, che a vario titolo è stato coinvolto nella Biennale veneziana del 2003 e nelle edizioni 1997 e 2002 di Documenta.

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Paula Manicola (ed.) – Questions of Practice: What Makes a Great Exhibition?
Philadelphia Exhibitions Initiative-Reaktion Books, Philadelphia-London 2007
Pagg. 184, $ 16,95
ISBN 9780970834614
Info: www.reaktionbooks.co.uk

*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 43. Te l’eri perso? Abbonati!

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