Lev Manovich, studioso di origini russe attualmente insegnante all’Univesrità di San Diego, è l’autore del saggio Il linguaggio dei nuovi medi, finalmente tradotto in italiano per i tipi della Olivares. Si tratta di uno studio dettagliato ed esauriente sull’estetica visuale dei nuovi media ed in particolare del computer, che da mero elaboratore elettronico di calcolo è divenuto un strumento di accesso alla multimedialità.
In relazione alla sua evoluzione, l’interfaccia uomo-computer ha subito delle significative variazioni: dalla prima Human-Computer Interface strutturata sul modello della scrivania d’ufficio si è arrivati ad una HCI che prende a prestito le convenzioni delle forme culturali tradizionali (parola stampata, cinema). Se negli anni 70 l’ambiente fisico è migrato sullo schermo di un elaboratore elettronico, oggi sono le convenzioni dell’interfaccia ed alcune forme ad essa legate (come ad esempio la realtà virtuale) che si insediano nelle attività di lavoro e di svago
L’autore prosegue esaminando dei comandi generici comuni a molti applicativi evolutisi intorno agli anni 80 (che riflettono la pratica della citazione dell’estetica Post-moderna sviluppatasi nello stesso periodo): la selezione e la composizione. Si tratta di operazioni chiave della creatività moderna a base informatica e della cultura del computer, secondo la quale la creazione autentica è stata sostituita dalla selezione tra varie opzioni offerte da un menu. I dipinti di David Salle, ad esempio, riflettono questo tipo di operazione “taglia ed incolla”, dimostrando come la computer culture infuenzi l’attività artistica a 360 gradi. Negli anni 90 la composizione digitale ha supportato un’estetica diversa, caratterizzata da scorrevolezza e continuità che trova una delle sue migliori espressioni negli spot televisivi e negli effetti speciali dei film; in Jurassic Park o in Titanic, ad esempio, diversi elementi appartenenti a media differenti vengono tra loro miscelati ed assemblati per creare rappresentazioni illusionistiche.
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