Jan Vermeer, Giovane donna seduta al virginale
Una grande collezione d’arte è quasi sempre intrecciata a una storia famigliare. Ma cosa accade quando i futuri eredi non ne condividono la passione? È la domanda che aleggia intorno alla Leiden Collection, dedicata in particolare ai maestri olandesi e fiamminghi del Seicento e considerata tra i patrimoni privati più importanti al mondo. Il suo proprietario, il miliardario Thomas S. Kaplan, ha dichiarato a The Art Newspaper che potrebbe frazionare la collezione, offrendo le opere come quote azionarie sul mercato, appoggiandosi sulla tecnologia della blockchain.
Un gesto che sa alta finanza ma che sembra risuonare anche come una provocazione da dinamica genitoriale: punire l’indifferenza dei figli verso l’arte consegnando Rembrandt e Vermeer alle logiche di borsa. «I miei figli non hanno alcun interesse per gli oggetti materiali e non sanno che farsene di tutta quest’arte», ha spiegato Kaplan.
L’imprenditore, classe 1962, presidente della società di investimenti The Electrum Group, oltre che fondatore della Panthera Corporation, organizzazione benefica dedicata alla conservazione dei felini selvatici, ha iniziato a collezionare “da professionista” nel 2003, con la moglie Daphne Recanati Kaplan, al ritmo vertiginoso di un dipinto a settimana. E oggi possiede più Rembrandt di qualsiasi altro privato al mondo. E non solo: nella Leiden Collection figura anche la Giovane donna seduta al virginale, attribuita – non senza remore – a Johannes Vermeer. Nella raccolta, anche capolavori di Frans Hals, Gerard ter Borch, Pieter Brueghel e Jan Steen, una sorta di manuale vivente dell’arte olandese del XVII secolo.
Negli ultimi anni la collezione ha viaggiato molto, prestando capolavori a mostre epocali, dal Rijksmuseum di Amsterdam al Louvre di Parigi e Abu Dhabi, fino al Norton Museum of Art in Florida. Ma il destino della Leiden Collection, non più eredità compatta, sembra oggi appeso a un filo. Kaplan, autoproclamatosi «Evangelista di Rembrandt», giustifica la scelta del frazionamento con il desiderio di rendere accessibile a «Milioni, forse decine di milioni» di persone l’esperienza di possedere un frammento di un capolavoro della storia dell’arte.
Il modello richiama le febbri speculative della stagione NFT, con cui Kaplan dichiara di aver flirtato concettualmente. Ma, almeno per ora, i dipinti restano quadri in carne e ossa, non pixel. Il paradosso è che l’operazione nasce meno da una visione democratica che da una dinamica famigliare: una resa o, forse, una sfida lanciata a chi non ha raccolto il testimone della passione paterna.
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