Non una vera e propria virata, ma una naturale prosecuzione di rotta. Si guarda avanti in un mondo incapace di concepire la poetica e che, pur di stupire fa il verso ad una didattica muta e reazionaria. Un mondo, comunque, pronto all’abbraccio per il maestro, un popolo capace di festeggiare più il cognome da passerella, riconosciuto e accettato dalla tribù, che non la produzione che ne giustifica la vera grandezza dell’autore.
I cataloghi e il denaro hanno sempre fatto a pugni con l’essenza di cui l’arte si nutre, però è inevitabile incontrare in queste occasioni donne impomatate che come barboncini scodinzolanti e soddisfatti, metteno nel carrello della spesa il quadro in coordinato con il divano nuovo della sala. Peccato. Peccato per la coreografia che gli fa da sfondo, perché l’attore principale, se da un lato non se lo merita, dall’altro però non trova il coraggio di cacciare i farisei che mercanteggiano nel tempio.
Giò Pomodoro continua comunque ad elevarsi e ad illuminare dall’alto del suo solare operato, noi poveri umani venuti a corte.
La cronaca: quattro sculture (Sole Tornante, Sole caduto, Sole d’Aosta e Sole serpente) opere che risalgono alla fine degli anni ottanta. Esposti anche quattro grandi oli, sgargianti, luminosi, in una parola solari.
La foto dall’alto rivela la saggezza e la maturità del settantaduenne nato in quel di Orciano, che tra pochi giorni si presenterà, rasato e visto a festa, davanti all’International sculpture Center’s Board di New York per ritirare il premio annuale per la scultura contemporanea. Per dovere di cronaca, ricordiamo che Giò Pomodoro è il primo italiano ad essere insignito di tale premio. Complimenti, viva l’Italia e viva il re!
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Roberto Sommariva
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