La dialettica del titolo è sviluppata a volte nell’opera di uno stesso artista, a volte tra opere differenti. È facilmente applicabile se si considera un oggetto culturale come denotato nella sua collocazione fisica, ma connotato del senso che l’artista ha progettato per esso.
Allora alla storia biologica dell’oggetto nella sua sostanza, si unisce la pratica artistica, essenzialmente formale, e la storia intima dell’artista.
I sei protagonisti presenti in galleria sono tutti giovani provenienti da paesi diversi, che lavorano con mezzi diversi. L’allestimento ha un percorso ideale da seguire: si comincia con l’egiziano Moataz Nasr, che colleziona pezzi di legno raccolti per le strade del Cairo e ne fa una tettoia da cui filtra una luce calda e liquida. La divisione tra interno ed esterno può sembrare prettamente fisica, ma la luce ha un senso metafisico, dato che interno ed esterno si invertono: la stanza dove è collocata l’opera è esterna alla galleria e la luce sembra provenire da un interno; così il termine illuminazione assume il suo significato meno concreto.
Nella prima stanza si trova un’installazione squisitamente ambientale dell’austriaco Hans Schabus. Un paesaggio
Roberta Silva, venezuelana, compie il gesto più forte, trasformando lo spettatore in attore. Una corda ci divide dalla seconda stanza, ma è elettrificata e crea fisicamente un cortocircuito tra oggetto esterno, come minaccia, e soggettività.
Letizia Carriello preferisce oggetti più intimi, legati alla memoria, come in Parabole, o alla sfera privata, come il bidet di Due minuti. Le teche di vetro strappano, ancora una volta, gli oggetti dal quotidiano: essi superano la loro collocazione spazio-temporale originaria, assumendo ieraticità.
In soffitta c’è l’opera del tedesco Bernhard Karmhann, una particolarissima videoinstallazione che unisce la serialità della narrazione filmica, al momento estatico della fotografia: non usa proiettori video ma diapositive, la fissità dell’immagine la libera dalla catena casuale. Essa rappresenta il volto in un video e l’interno di un appartamento illuminato in un altro.
Barthélemy Toguo, camerunense, chiude l’esposizione, con un’opera quasi etnografica. Con il legno costruisce timbri e aeroplani, a simbolo della realtà comune a molti suoi compatrioti, ma la grettezza dei materiali e della costruzione li rende simili a sogni ingenui. Alla fine le dimensioni su cui si applica la dialettica portante sono più d’una: il pregio sta nell’aver raccolto opere che le evocano tutte con estrema efficacia.
Articoli correlati
Fuori di qui
Niccolò Manzolini
Negli spazi di Mucciaccia Gallery Project, a Roma, va in scena la mostra di Elena Ketra, incentrata sulla figura mitologica…
Ho versato la notte dalla brocca, non c’era abbastanza notte: il cineasta tedesco attraversa tempo, spazio e memoria in Anselm,…
Per celebrare i suoi ottanta anni di attività, la storica casa editrice Electa ha istituito Fondamenta, una nuova Fondazione per…
Su proposta del presidente Luca Beatrice, sono stati nominati i curatori della 18ma Quadriennale di Roma, che si terrà da…
Marina Dacci conosce il lavoro di Giovanni Termini da molti anni, ne ha scritto, ma questa volta ha voluto approfondire…
Arrivato alla quarta edizione, exibart Street Contest si conferma come un appuntamento imperdibile per la street photography internazionale: ecco i…