Forse lo spazio espositivo è troppo angusto. Forse. Forse la luce squillante delle luci sospende lo sguardo. Forse. Ma in galleria c’è l’aria fitta, quasi solida. I manici delle pentole, il loro equilibrio, statico e funambolico assieme, la loro posizione, ascetica e perversamente immacolata, spiazza chiunque entri. Una colonna di tredici pentoloni imbiancati da’ il benvenuto a chi varca l’ingresso, obbligando ad alzare lo sguardo al soffitto, per vedere dove finisce quel sostegno intonso. Il guaio è che questa pila opaca e impallidita di arnesi da cucina sembra finire al di là del tetto. La verticalizzazione dei contenitori metallici, ordinatamente inseriti gli uni negli altri, è prepotente. Diventa sbalorditivo lo scarto del pensiero, quando ci si accorge che l’ordine delle cose è maledettamente sovvertito. Ed è così che l’arte interviene a riflettere armonia. Allora niente è pencolante mentre tutto diventa bilanciato. Ipostatizzato.
Con questa anteprima in miniatura, si affaccia sulla vetrina milanese Coralla Maiuri (Città del Messico, 1957). Da alcuni anni l’artista si sta muovendo in direzione dello studio delle forme e degli enigmi della materia. A Roma con La-Re, nel 2005, aveva presentato una serie di lavori che vertevano sulla tridimensionalizzazione della superficie, mettendo in mostra il delicato affilarsi delle contraddizioni che questo processo svela. Mentre, ad oggi, l‘artista, di origini ciociare, punta più che altro a creare dei poli di energia. Delle pariglie di opposti che risolvano falsi enigmi con non-sense reali.
Vero è che, in questa occasione, in questa nuova personale mil
Ma è d’obbligo, per la poetica degli oggetti, reinventare le loro manifestazioni sibilline. Ed è con questo intento che scende in campo la creazione fotografica, centrando a pieno l’obiettivo. Al fondo della galleria, su una parete è appeso uno scatto in bianco e nero, catturato da Agostino Osio. Uno scorcio in tralice apre l’ingresso di un tunnel buio, in disuso, indicando al click il punto di fuga, diretto verso una lunga carovana di pentoloni. La finezza della fotografia, la veridicità documentaria del supporto e la luce ben diretta sui riflessi delle superfici metalliche sono tre caratteristiche che fanno di questo lavoro un’apparizione. La foto allora diventa una chiave di lettura istantanea. A dimostrazione del fatto che conoscere il perché dell’utilizzo di pentole diventa uno scopo di secondo piano. Mangiare, bollire, educare, straniare, cuocere, riempire e svuotare rimangono tutte azioni subordinate nei confronti dell’essere.
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bell'idea rubata gia' visto tutto a basilea ma da un'altra artista!