Chi, durante i giorni del MiArt, non è riuscito ad accontentarsi della fiera, ha potuto darsi da fare itinerando tra le inaugurazioni. Tra tutte, ha cercato di porsi come vera e propria alternativa alle dinamiche di mercato il progetto Dojo, a cura di Luca Cerizza. Sei artisti –Massimiliano Buvoli, Christian Frosi, Massimo Grimaldi, Davide Minuti, Riccardo Previdi, Patrick Tuttofuoco– disparate provenienze ed esperienze artistiche, ma un comune sentire. Un atteggiamento incline alla rivalutazione, rioccupazione, riabitazione dello spazio da parte del fruitore e dell’arte, istanza creativa in grado di riscattare luoghi e non-luoghi.
Spazi abbandonati, un tempo teatro di fatica, oggi, con un’operazione drastica di riconnotazione, vengono stravolti e dedicati all’intrattenimento, con un’attenzione particolare alla città di Milano, alle sue evoluzioni ed involuzioni. Ne è un esempio, il destino degli spazi di Via Ventura, ex fabbrica Faema, che riaprono i battenti, dopo i fasti di Perspectives ed ElettrOrganica, nel nome di Dojo.
Ovvero, dal giapponese, la palestra, il luogo in cui corpo e spirito sono esercitati e modellati dal Bushido, nel confonto tra individualitĂ diverse, compatibili ma concorrenti, nel marziale rispetto reciproco.
Nel cerchio delle tensioni private si aggira lo spettatore, chiamato a vivere lo spazio, emancipato dall’obsolescenza e rianimato, con un faticoso bocca a bocca, dalle sintesi luminescenti ideate dagli artisti. Dal relitto-insegna Varesine ripescato da Tuttofuoco, dopo la demolizione del luna park (binomio linguistico luminoso ammiccante dai palazzi di Via Ventura), un tempo situato in centro, ripulito e dotato di pulsazione luminosa. Passando per i lamenti strazianti dei pavoni degli allevamenti locali, registrati da Frosi, mandati in onda in loop nell’aere notturna milanese. O soffermandosi dinanzi alla scultura retroilluminata Harlem di Massimo Buvoli, con le sue speculazioni sul paesaggio fiammingo, nel tentativo di rappresentare una realtà altra.
Fino all’invisibile, ma poetica, striscia luminosa esterna, congetturata da Minuti, alimentata dall’energia solare raccolta da pannelli soprastanti l’entrata allo spazio espositivo, attivi durante l’arco della giornata. Fino alle introspezioni video di Grimaldi sugli effetti delle bombe USA sui bimbi in Kosovo(luogo concettuale di coscienza collettiva) e alle ricostruzioni digitali della prima sequenza del Film La Notte, di Michelangelo Antonioni, elucubrazioni intorno al grattacielo Pirelli, proiettate sulla vetrina della galleria e -grazie alla giustapposizione di strisce adesive sul vetro- in strada. Con una fusione totale tra spazio esterno ed interno, in cui l’arte diventa un metaluogo di raccoglimento su Milano. Sulla sua bellezza. Sulle sue debolezze.
santa nastro
mostra visitata il 5 maggio 2005
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mmm ci sono alcune imprecisioni, sulla descrizione dell'opera di Massimo Grimaldi, le sue non sono "introspezioni video" e i "bimbi" non sono quelli del Kosovo!
mmm...massimo grimaldi, ce la cantiamo e ce la suoniamo proprio...mmm?