British Black dark movie è il titolo di quella che Jonathan Guaitamacchi (Londra, 1961) e la galleria Ca’ di Fra’ presentano come una vera e propria “esperienza visiva”. Seduti su poltroncine da cinema, alla giusta distanza dalle tre grandi tele esposte, vediamo scorrere una sequenza di immagini metropolitane. La scomposizione di ogni opera in riquadri più piccoli (fotogrammi?) accentua l’impressione di assistere alla proiezione di una pellicola. La presenza del movimento è costantemente avvertibile: nel bianco e nero dai contorni fumosi, nelle direttrici parallele o negli orizzonti curvati da un punto di vista distante e rapido, a volo d’uccello (prospettiva ricorrente nell’opera di Guaitamacchi). Solo in apparenza rapide, le sue visioni sono invece caratterizzate da una resa pittorica aggressiva, incisiva, tagliente, che talvolta concede alla vernice nera di sconfinare, tramite colature e sbavature, sul fondo bianco.
Le stesse poltrone potrebbero, in effetti, trasformarsi in sedili di un aereo in procinto di atterrare in un aeroporto, per esempio Londra Stansted, o Luton: riconosciamo, infatti, il Tamigi nella densa colata bianca della terza tela (sequenza?). Nella stessa opera sono inseriti anche piccoli bozzetti di architetture, tra le quali possiamo riconoscere la sagoma del quartiere di Liverpool Street, con il suo celebre grattacielo a forma di missile.
Pur partendo da luoghi reali da lui personalmente vissuti (Londra, Milano e Città del Capo), Guaitamacchi è ben lungi da velleità ritrattistiche o da entusiastiche celebrazioni di un dinamismo urbano di eco futurista. Le sue stesse parole riecheggiano scritte su una parete: “…la mia visione è fatta di varchi in cui vedo scorrere le nostre anime prigioniere degli affanni – la mia voce non è altro che una testimonianza dispersa e confusa – la città che ho visto dall’alto è forse il luogo misterioso della mia memoria, il sogno della mia ripetuta ossessione…”.
A fluire sulla tela, davanti ai nostri occhi, non sono solo immagini ma anche parole, segni, annotazioni grafiche e gestuali scaturite direttamente dal flusso di coscienza dell’artista. Sono del tutto assenti testimonianze umane o riferimenti temporali. Quelli che vediamo sono brandelli di città deserte e senza tempo, richiamo alla sofferenza della società urbana di oggi, in un viaggio capace di fondere memoria individuale e collettiva.
articoli correlati
Guaitamacchi in mostra a Trieste
L’artista in una personale romana
elisa scuto
mostra visitata il 16 aprile 2007
La Pinacoteca Civica Francesco Podesti di Ancona riapre al pubblico dopo due anni di chiusura, con un nuovo allestimento delle…
Tra intelligenza artificiale, installazioni monumentali e video immersivi, i settori "Zero 10" e "Meridians" mostrano come la fiera di Miami…
La lattina più famosa dell’arte torna protagonista: denigrata, celebrata, reinterpretata. La sua metamorfosi mostra quanto la visione di Warhol continui…
La nascita della Sonnabend Collection Mantova, dentro il restaurato Palazzo della Ragione — inaugurata il 29 novembre 2025 con 94…
Alcuni dei suoi edifici sono i più importanti al mondo: Frank Gehry, colui che ha praticato l'architettura, o forse più…
La Società delle Api nomina Luca Lo Pinto come direttore artistico: la Fondazione creata da Silvia Fiorucci sposta a Roma…
Visualizza commenti
si, la memoria collettiva del fatto che Guaitamacchi continua a rifare lo stesso quadro da sempre