Può succedere che poche opere di eccezionale qualità facciano di una mostra un evento da non perdere. E’ il caso dell’esposizione al Poldi Pezzoli, casa-museo milanese che propone due ritratti di Gian Battista Moroni (Albino 1520/1524 ? – Bergamo 1579), straordinario ritrattista, uno dei maggiori interpreti del naturalismo lombardo del XVI secolo: Il cavaliere in nero e Il sarto, entrambi assenti dalla ricca monografica tenutasi lo scorso anno a Bergamo.
Il cavaliere in nero è un lascito testamentario pervenuto al Poldi Pezzoli nel 2004 ed è esposto dopo un accurato restauro eseguito dall’Opificio delle Pietre Dure (una sezione della mostra è dedicata al restauro dell’opera). Il sarto appartiene invece alla National Gallery di Londra e non era esposto in Italia dal 1862.
I ritratti di Moroni erano richiestissimi dalla piccola nobiltà bergamasca, lontani dal respiro aulico e un po’ finto dei ritratti ufficiali, sono immagini vive e spontanee. L’artista rappresenta con attenzione al vero le fattezze del personaggio senza alcuna idealizzazione; ne indaga psicologia e carattere rivelati da uno sguardo, un gesto, l’atteggiamento del corpo; descrive i particolari di abiti e gioielli che ne svelano il ruolo sociale.
Il cavaliere in nero ritrae a figura intera un gentiluomo vestito con eleganza, una mano poggiata con disinvoltura sull’elsa di una spada. Indossa calze aderenti, calzoni corti e rigonfi, un corto mantello decorato con strisce di velluto. Tutto rigorosamente nero. Si deve sottolineare la maestria di Moroni capace di far risaltare il nero brillante e morbido del velluto sul nero cangiante del mantello di raso. Il pittore utilizza poche tinte dominanti: un difficilissimo gioco di neri, il bianco delle trine, il grigio sfumato dello sfondo, il rosa tenue del pavimento; la luce dà rilievo ai particolari del viso e dell’abito. Un abito sobrio completamente nero indicava l’appartenenza alla nobiltà o a quella classe di governanti e amministratori che si uniformavano alla consuetudine spagnola voluta da Filippo II di vestire di nero con abiti rigorosi e semplici.
Quest’abito nero così esattamente riprodotto e il generoso lascito testamentario che ha beneficiato il Museo diventano il pretesto per una mostra che parla di dipinti e di moda, “moda intesa non solo come canone puramente estetico, ma soprattutto come elemento simbolico come strumento per trasmettere e delineare l’identità della persona, l’appartenenza territoriale, il ceto e il ruolo”. In esposizione quadri (oltre a Moroni, ritratti di Sofonisba Anguissola e Quentyn Metsys il Giovane), un abito maschile del XVII secolo in raso con decorazioni in pelle, il Libro del Sarto, raccolta di disegni e modelli di abiti appartenuto ad un sarto milanese del Cinquecento ed
Si distingue da tutti i ritratti in nero della mostra, compreso quello del piccolo Massimiliano II Stampa dell’Anguissola, l’abbigliamento de Il sarto che in quanto artigiano (sebbene di prestigio, dato che ha al mignolo un prezioso anello con rubino e poteva ‘permettersi’ un ritratto) poteva non seguire la regola del nero totale. Indossa un giubbone chiaro e calzoni rossi; ma sta tagliando, probabilmente per un aristocratico committente, un abito di panno nero. Personaggio fascinoso dallo sguardo magnetico si rivolge a noi con l’aria seria e compiaciuta di un vero professionista. In questo sguardo così espressivo si riconosce l’eredità di Lorenzo Lotto che aveva soggiornato a Bergamo tra il 1513 e il 1525 e che concentrava nell’espressione del viso e degli occhi la rappresentazione dei moti dell’anima. A confronto con i ritratti di Moroni le altre opere in mostra possono apparire muti manichini di cera.
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