Ricostruire un polittico non significa solo individuare tutte le parti che lo componevano e la loro reciproca posizione, così da ricomporre l’aspetto originario dell’opera. Significa cercare di recuperarne la storia, individuarne la committenza e, se ancora sconosciuto, l’autore.
Per questa “impresa” lo storico dell’arte si affida a criteri stilistici, scava nei documenti, cerca di seguire le vicende di ogni singola tavola; considera le misure di ogni pezzo, la qualità del legno, il modo in cui le tavole sono state separate. Stimolante, anche se non sempre coronato da successo.
L’abitudine assai deplorevole di sezionare i polittici e venderne le singole componenti separatamente si diffuse nel XIX secolo quando il mercato antiquario si entusiasmò per i “primitivi italiani”. Certo era più facile riuscire a vendere una singola tavola, una coppia, piuttosto che trovare un compratore per una di quelle gigantesche (e splendide) macchine d’altare. Così i singoli pezzi si sparpagliavano fra musei, collezioni private, si perdeva la storia del loro autore, della loro integrità e la ‘carpenteria’, cornici e colonnine di legno dorato che legavano tra loro le tavole dipinte.
Giovanni Romano si è cimentato con un problema di questo tipo, riuscendo a rintracciare le sei tavole che costituivano il polittico, assegnandolo in via definitiva a Martino Spanzotti (documentato in Piemonte tra il 1475 e il 1523) e cercando di ricostruirne la storia. La ricostruzione dell’opera era stata iniziata da Ugo Fleres, Romano ha rintracciato l’elemento centrale del piano superiore, l’Adorazione del Bambino, ora in collezione privata. Il risultato di questo lavoro è riassunto in un saggio del catalogo e l’opera è esposta temporaneamente a Brera. Le sei tavole sono state di nuovo riavvicinate, purtroppo prive delle decorazioni in legno dorato delle quali non è giunta notizia. Poi ogni “pezzo” riprenderà la sua strada; due delle tavole appartengono a Brera, un paio alla National Gallery di Londra, una delle tavole è dell’Accademia Albertina di Torino, l’ultima, appunto, è in una collezione privata.
L’opera si colloca nell’ambito della pittura del rinascimento piemontese, l’attribuzione delle singole tavole ha oscillato tra Macrino d’Alba, Defendente Ferrari, per giungere infine a Spanzotti. Il polittico, dedicato a Sant’Andrea, proviene dalla Chiesa di San Francesco di Casale Monferrato e Romano individua in una nobile famiglia di Casale i dal Ponte, “estintasi nel corso del Seicento nella famiglia Mossi” (Romano) i committenti dell’opera, uno dei quali (ancora ignoto) è raffigurato in ginocchio, nella parte inferiore sinistra del polittico.
Nella ricostruzione proposta può sembrare una nota stonata la tavola centrale della fascia superiore, la Madonna con il Bambino, niente della quale sembra potersi ricondurre alle due tavole laterali. Non v’è continuità con il cielo né con la pavimentazione che invece accomuna le due tavole laterali. L’identificazione della tavola come la parte centrale del polittico è avvenuta “in base all’omogeneità di stile….alla larghezza della tavola….ala presenza di due fasce dipinte di nero sui lati, uguali a quelle che caratterizzavano le tavole laterali… prima delle ultime puliture” (Romano). Qualunque sia l’opinione in proposito, rimane forse la più bella tavola delle sei proposte, scandita da armoniosi ritmi lineari, con una “Madonna mansueta, quasi fiamminga“. Sono parole di Bernard Berenson, dedicate alle Madonne di Defendente Ferrari.
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