Per tutti gli anni ‘60 e fino alla prima metà dei ’70,
Enrico Baj (Milano, 1924-2003) creò la serie dei generali e delle dame, facendo della logica dell’
objet trouvé di origine dadaista e surrealista il suo punto di partenza. Utilizzando la tecnica dell’“
acqua pesante”, attraverso un processo di “
stratificazione interiore”, dedusse “
le sue grottesche figure militari dalle montagne in processo di personificazione”. Da quel paesaggio ideologico, “
metafora geologica dello psichismo ascensionale”, presero vita “
individui goffi, nuovi straordinari ultracorpi non fantascientifici ma sociali”, cui ben presto si accompagnarono le loro dame.
Abbandonata la tecnica utilizzata per i generali, la femminilità delle compagne di questi personaggi, “rallegrati” da medaglie e simboli aristocratici, fu così evidenziata da decorazioni ironicamente impreziosite da motivi floreali tratti dall’Art Nouveau e da passamanerie, collane, perline, borsette, cristalli di vetro e ricami d’altri tempi. Escamotage raffinati, di grande effetto cromatico, che Baj, definito “
grande riciclatore” da Giorgio Marconi, inserì per riempire il vuoto che avvolgeva la loro aristocratica ma decadente eleganza. Come i generali portano appuntate le loro preziose medaglie, ricordo di antichi fasti in un momento di miseria, così le dame mettono in bella mostra i loro altisonanti nomi, trovati nel
Grand Larousse Illustré o fra i libri di storia,
permettendo allo spettatore di giocare con il binomio uomo-donna, forza militare e potere economico, attraverso le corrispondenze visive e materiche tra le due parti.
Lo stesso artista definì i suoi generali in termini di “
personificazione progressiva di un certo materiale informe”, facendoli assurgere a campioni di una mostruosità che non è semplice violenza, ma anche brutalità della pittura, fino a rendere i generali figure primitive, ambigue, appartenenti a una dimensione mitica. In ogni caso, Baj, pur sostenendo la critica all’arrampicamento sociale, celata dietro ai sorrisi più simili a sogghigni delle sue creature, e la polemica antimilitaristica, sviluppata dai generali ricoperti di mostrine, stelle, patacche, bottoni, frange, nastrini di guerra, cordoni e bandoliere, induce il pubblico a una risata liberatoria di fronte all’aggressività e alla stupidità umane. Con rigorosa volontà e umorismo destabilizzante, infatti, l’artista ha sempre combattuto la violenza nella sua veste di “
simbolo poetico, ma pratico, ironico, beffardo, anche goliardo: un capo che fa ridere, un padre conviviale di fantocci, di generali disarcionati o cascati di sotto perché presi di mira dalla sua esuberanza”.
In un gioco ironico, che si muove dinamico tra le maschere sociali dei generali e delle dame, Baj, “
con tutto il pessimismo della ragione, ma pure con l’ottimismo del desiderio”, sarebbe stato pronto a scatenare una guerra personale contro gli imbecilli, richiamando tutto il suo esercito che non si sarebbe mai perso l’occasione di difendere il proprio onore e sfogare il proprio spirito primordiale.