Movimenti vorticosi, colori che simulano il caos, frenetici scorci architettonici attraversati da violente emorragie di luce. Francesca Galliani (Milano, 1962; vive a New York e Milano), utilizza un linguaggio prepotente -costruito sull’utilizzo di tecniche differenti– per esplorare artisticamente i paesaggi urbani più affascinanti del pianeta. Fotografia, collage e pittura diventano così gli strumenti ideali di una ricerca esteticamente raffinata, che non rinuncia a mostrare, dietro l’impeccabile superficie dei suoi fotogrammi, tutte le contraddizioni di una società complessa.
Sono circa trenta opere, tutte di grande formato e realizzate tra il 2005 e il 2006, che costituiscono il “diario di viaggio” dell’artista milanese. New York, Parigi, Honk Kong, Dubai, Shanghai, metropoli storicamente e culturalmente stratificate, vengono immortalate nei loro angoli più suggestivi, immerse in una quotidianità fatta di individui che si muovono, interagiscono e si confrontano con un paesaggio molto spesso ostile e privo di umanità. Un paesaggio sviluppato in verticale, proiettato in alto grazie all’aggressiva invadenza dei grattacieli, simboli oramai acquisiti di una cultura –quella americana– capace di esportare la propria idea di spazio urbano in tutto il mondo. E poi stazioni, ponti, quartieri, architetture imponenti di una realtà lanciata verso il futuro, ma incapace di comunicare positivamente con i fantasmi del proprio passato. Ogni edificio viene trattato come il palcoscenico di una società scossa da continue contrazioni, allucinata, persa in un irrefrenabile baluginare di luci: quelle dei semafori, dei cartelli pubblicitari, delle macchine.
Visioni per lo più notturne, bagnate da colori accesi, continuamente alla ricerca di movimenti improvvisi. Oppure di corpi, anche sfocati, che sappiano raccontare piccole storie, intime, tragiche, sincere.
Fotogrammi che sembrano partoriti da un videoclip, o da un film; e così lo sguardo che la Galliani getta su Honk Kong sembra giungere direttamente dalle pellicole di Wong Kar Wai e dalle sue poetiche e amare riflessioni sulla solitudine delle grandi metropoli. Quasi sempre la fotografia diventa il supporto ideale per nuove sperimentazioni visive e di linguaggio. Il collage permette di contrapporre immagini concettualmente distanti tra loro per acuire il senso di smarrimento dell’individuo, oppure calcare la mano sulle contraddizioni più evidenti della società moderna; la scrittura, invece, serve a potenziare il messaggio diventando, in alcuni casi, il vero fulcro dell’opera. Anche le pennellate di colore denunciano un’urgenza comunicativa densa di significati; sono orme indelebili di un passato che non vuole farsi dimenticare, graffi cromatici sferrati ad un’epoca nevrotica, rumorosa, alienante. Un’interpretazione artistica che utilizza alcune suggestioni tematiche di matrice futurista immergendole però in un’atmosfera pop, culturalmente progressista, attraversata da allusioni critiche, riflessioni attuali e messaggi di speranza.
nicola bassano
mostra visitata il 17 ottobre 2006
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