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fino al 16.IX.2007 | Renzo Piano Building Workshop | Milano, Triennale

di - 13 Giugno 2007

Renzo Piano è il più internazionale tra gli architetti italiani. Ma non è questione di geografia, globalizzazione o passione da jet leg. Né tantomeno è la tipica esterofilia italica. Certo, Piano ha scelto, con lungimirante consapevolezza, di tirarsi fuori dai caroselli italiani e questo ne ha accelerato il successo e la visibilità mondiale. Ma l’internazionalità del “genovese volante” sta nella singolare quanto straordinaria capacità di confrontarsi mimeticamente con i luoghi dove costruisce: ascoltandoli, assecondandone la natura e la vocazione. Piano è l’architetto dei topoi, dei luoghi, che ha celebrato con la sacralità dell’architettura. Dalla nuova Caledonia a Houston, da San Giovanni Rotondo a Osaka, da Lione a New York, mai una volta che abbia violato il genius loci con l’arroganza del segno, o il narcisismo dell’ego. Al contrario, ha sfidato l’anonimato urbano con la grazia e la mitezza che lo contraddistinguono, privilegiando l’armonia corale del contesto alla vanità degli assolo. E questo, nell’era delle archistar, è decisamente una novità.
La Triennale di Milano celebra i 70 anni di Piano con Le città visibili. Renzo Piano Building Workshop, una bella mostra che documenta e illustra la complessità della sua lunga attività progettuale. Dopo aver ricevuto un’accoglienza trionfale dagli studenti della Facoltà del Design del Politecnico, Piano si lascia festeggiare in Triennale, sorridente e stupito dai plausi di Sgarbi -stranamente generoso nei confronti di un architetto contemporaneo- e ancora di più dall’establishment architettonico, che non gli ha mai perdonato il mancato omaggio e i reiterati successi. Sorride anche Davide Rampello, perchè con Piano si rivela la bellezza della Triennale, qui luminosa, solare ed eterea, dimostrazione evidente di una direzione competente e dinamica.

In un allestimento che ricorda da vicino quello della mostra su Franco Albini, non a caso maestro di Renzo Piano, si succedono maquette di studio e schizzi di progetto, sculture aeree e appunti costruttivi, in un percorso volutamente avvolgente e luminoso, dove il dato emozionale ha il sopravvento sulla razionalità espositiva. Bellissimi e numerosi i modelli, elementi di studio più che di verifica. “Ho imparato da Zanuso, da Prouvé, da mio padre e da Albini a fare, per ogni progetto, dei prototipi in scala”, sostiene Piano. “In questo modo si introduce inconsapevolmente, nel processo del costruire, una strategia di progetto tipica dell’industrial design: parti dalla fisicità del pezzo e ne sviluppi le implicazioni estetiche, funzionali, di volume.”
Da non perdere il plastico della membrana presentata alla Triennale del 1968, quella bloccata dalla contestazione, e primo testimone della ricerca sui materiali e sulla forma che connoterà le sperimentazioni successive. Parimenti suggestive le fitte variazioni di scala e di materiali, che si sarebbero colte forse meglio attraverso gli oggetti di design, qui assenti, ma che, dal giunto al plano volumetrico raccontano la straordinaria vocazione “costruttiva” di Renzo Piano che ha scelto l’immagine dei grandi esploratori, James Cook e Magellano in particolare, come metafora degli architetti contemporanei.
Nelle città esplorate da Piano l’edificio viene sempre interpretato nella sua relazione con la scala urbana. Come nota il curatore Fulvio Irace, le “città visibili” di Piano hanno infatti segnato “il passaggio dal vecchio modello di città industriale a quello di città dell’informazione e della cultura”. Lo dimostrano il prototipo parigino del Beaubourg o la riconversione torinese del Lingotto, la Cité Internationale di Lione e il porto di Genova, fino alla berlinese Potsdamerplatz o al museo Menil a Houston. Gli esperimenti sulle brown areas di Milano e di Sesto San Giovanni, di Lione, di Parigi o di Harlem mostrano invece il passaggio dalla città della produzione a quella degli scambi.

Le città di Renzo Piano propongono dunque un’idea di spazi multifunzionali che traducono l’irrequietezza della contemporaneità attraverso l’esaltazione della complessità, della trasparenza e della permeabilità. “La città è fatta di edifici, è fatta di case, è fatta di abitanti che lavorano in quegli edifici e vivono in quelle case”, riepiloga l’architetto, “capire una città è capire i suoi abitanti perché l’architettura è lo specchio di una società, di un tempo, di una cultura.”

alba cappellieri
mostra visitata il 21 maggio 2007


dal 21 maggio al 16 settembre 2007
Renzo Piano Building Workshop – Le città visibili
TRIENNALE – PALAZZO DELL’ARTE, Milano, Viale Emilio Alemagna 6 (20121) / +39 02724341 (info), +39 0289010693 (fax) – info@triennale.it – www.triennale.it – a cura di Fulvio Irace – orario: 10.30-20.30, chiuso il lunedì (possono variare, verificare sempre via telefono) – biglietti: euro 8,00 / 6,00 / 5,00 – Catalogo Electa


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