Paolo De Biasi (Feltre, Belluno, 1966; vive a Treviso) inaugura, dopo un anno di distanza dall’arrivo in finale del Premio Celeste, con
Retro and come back. Fra la ventina di tele esposte in questa personale milanese, il pittore veneto parla lentamente, modulando il tono del proprio raccontare. Lo fa mettendo in figura frasi e parole come se trasmettesse il discorso di un saggio, un saccente visionario, un erudito muto.
Attraverso un linguaggio avulso e infastidito da qualsiasi accenno lirista, l’artista si fa portatore di un messaggio che ricostruisce un universo formale di senso sovrapposto, inconscio, seppure riconoscibile e unitario. Decisamente influenzato da un certo decadentismo mitologico, appartenente al mélange di pensiero postmodernista, l’immaginario lento e polveroso di questa mostra assume su di sé il vestito di una dimensione imperfetta, un recinto protetto che però delimita, al contrario di quel che si potrebbe pensare, una visione percettiva netta, anche se rivolta a dialogare verso l’interno. L’interno della percezione.
De Biasi camuffa con i colori marcenti, con i ritratti di personaggi fantasmatici e con l’uso di contorni slavati un moto spontaneo di avvicinamento alla bidimensione. Il pittore ritrae atmosfere senza luce diretta, stanze mai del tutto ferme, sebbene altere e rispettose nei riguardi dell’occhio. L’osservatore ideale è infatti colui che non deve vedere a ogni costo, perché preferisce essere raggiunto dall’immagine, da quel simulacro che l’artista forma e scaglia verso la soglia dello stupore.
Di fronte a lavori come
Twins o
Weekend ci si rende conto che, per costruirsi una realtà, bisogna intra-vederla, pezzo per pezzo, seguendone tutte le direzioni possibili. Sebbene il tempo del gioco si confonda spesso, in queste tele, con il tempo metafisico dell’altrove e con la regolarità di una ricerca forzata sull’inatteso, su quel mondo di cui De Biasi è indenne da qualsiasi caducità, da qualsiasi avvertenza imposta dagli spazi. Questo significa che il campo visivo dell’intera mostra prende il posto di una struttura onirica. Un’architettura di primi piani nitidi sovrapposti a sfondi inverosimili.
La tecnica regolare di De Biasi, quella di inserire alcune citazioni reinterpretate di collage degli anni ‘50 e ‘60, diviene così una contrattura usata come strumento prediletto per ritagliare e strutturare scene, sezionate in forma di dipinto. L’artista, a questo punto del proprio percorso, può dunque permettersi d’inserire oggetti non-sense volutamente gettati nel terreno di un universo fatto per mantenere le proprie ossessive e paradossali dimensioni dell’esistenza.
Ombre velenose, macchine per il nulla, barche di gentiluomini, macchine d’epoca, volti traslati, astronauti incauti e tuffatrici sospese diventano tasselli finiti e intercambiabili di mondi che non vogliono dire niente, se non sovrapposti e raccolti come farfalle sul foglio di un rebus. Bellezza deserta.
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Veramente una bella mostra!Con un duplice sguardo alla Giano Bifronte.Bravo Paolo!
attenti al cuoghi che fà i complimenti davanti e non di dietro
che cazzat.. Vanny non è falso... kekka non sarai la "kekka "..che penso io...
il Vanni non si tocca ..vanni for president...vanni papa subito.. vanni presidente della repplubicha ..vanni primo uomo nello spazio...vanni ha scoperto le cellule staminali..;)