“L’arte come metafisica del lusso”. Questo il filo conduttore che lega i protagonisti di Luxury, curata da Raffaele Gavarro che qui presenta gran parte degli artisti con cui ha lavorato negli ultimi anni. L’arte che si prende il lusso. Malgrado le apparenze, i dogmi dell’epoca mediatica e la facile retorica. Cerca un’alternativa, prende la rincorsa, anela al traguardo. Alla libertà di dire, fare, oppure d’astenersi. S’intrufola nella vita reale, crea disguidi, è il personaggio immaginario invisibile ai più, la mina antiuomo travestita da giocattolo, un calice di champagne al cianuro. Svela un mondo di plastica, assolutamente parallelo al nostro, in cui succedono le cose più strane. Vi s’aggirano i pupazzi di Marco Prestia, ad esempio, introdotti impietosamente nella nostra società e, fedelmente alle leggi della fiction, in cui al visitatore diverso non è concesso il beneficio dell’accoglienza, sottoposti a crudeltà indicibili, di cui mostrano, dimessi, i segni. Tal senso di abbandono è raccolto e sviluppato, con una sensibilità evocativa specificatamente muliebre da Silvia Camporesi, con le sue speculazioni estatiche sul tema di Ofelia. Valentina Glorioso e Francesca de Rubeis sembrano maggiormente interessate ad indagare i luoghi comuni legati al femminile, esasperati nella presentazione spietata dei resti di un matrimonio operata dalla prima, quanto nel reportage della realtà domestica eseguito con perizia dalla seconda.
Passando per i contrasti generati dal confronto tra Fabio Pistillo, che libera elementi del quotidiano da ogni residuo di banalità e ne fa pittura, evitando ogni coinvolgimento emozionale con l’oggetto/soggetto ritratto, e Valerio Ricci, che oppone al tratto netto, fumettistico dei suoi disegni l’installazione di un box cubico che rappresenta lo scrigno dei ricordi preziosi, o la scatola nera di una tragedia aerea.
Dando, insomma, valore alla memoria, ormai anchilosata dall’incedere aleatorio della contemporaneità. Diverso è invece il discorso di Adalberto Abbate con Processo Educativo Evolutivo, opere in cui il simbolo della svastica diventa il marchio a fuoco di situazioni disparate, indagine metodica sull’ attualità, pur senza alcuno sfogo enfatico. L’analisi del segno dipana matasse ben lontane da qualunque esigenza morale, concede alla grafia valore assoluto, primordiale e astratto, con una volontà di straniare quasi dadaista. Cui fanno da interessante termine di paragone i paradisi artificiali reclamati da Enrico Vezzi. Spiagge lontane, empirei deserti, dove parrebbe esaurirsi “l’ossessione per la felicità”, come cita l’epigrafe apposta sulla sua opera. Ma su cui aleggia, implacabile ed inquietante, certamente allusa, l’evidenza dell’impossibilità di trovare il luogo dei sogni, eden risolutivo degli angoscianti tra i dilemmi dell’umanità.
santa nastro
mostra visitata il 31 maggio 2005
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anche io! stupenda ma non ho visto.
che che andro' oggi.
ma Abbate dipinge anche?
ho visto una sua installazione al palazzo della ragione.
bella! forte!
che bello la sicilia nel suo piu' nuovo splendore.
VINNI VIRI VINCI!
complimenti a tutti.
altro che arte inglese!
sono piu forti ma sfortunatamente hanno il sistema dell'arte italiano a sostenerli! neanche quello mi sa! no?
sorte a tutti prima o poi il vento cambiera'!
Complimenti al curatore Gavarro che secondo me sta osservando bene.
Da riserve a titolari dell'arte contemporanea. Almeno in Italia.
COMPRATE OPERE DI ADALBERTO ABBATE .IO VE LO ORDINO !
Saccardi liberateci dalla vostra fastidiosa e insulsa presenza, è una preghiera