Che cosa staranno guardando? È impossibile non porsi la questione osservando l’immagine di una folla di persone che si accalca di fronte a qualcosa. La macchina fotografica è posizionata accanto all’oggetto, inquadra gli spettatori di qualcosa che è escluso alla nostra vista. Se scoprissimo che sono foto scattate all’Hermitage di San Pietroburgo, che tutte quelle persone sono al cospetto di un capolavoro, la nostra curiosità non potrebbe che aumentare. Ma poi l’attenzione si sposterebbe inevitabilmente sul modo in cui tutti quegli occhi osservano.
Le fotografie di Thomas Struth (Geldern am Niederrhein, 1954) riflettono sul nostro sguardo, sul modo in cui l’arte lo cattura e sulle diverse reazioni che lo spettatore può avere di fronte ad essa. Da Monica De Cardenas viene presentata una selezione di fotografie di grande formato dell’Hermitage e del Museo del Prado di Madrid, tutte dedicate al pubblico dei due musei. Spesso la macchina fotografica fa movimenti minimi, mantenendo la stessa inquadratura. Lascia che su uno sfondo immutato si alternino diverse composizioni delle fisionomie dei visitatori e dei loro modi di vedere. C’è chi guarda con stupore e commozione, chi con sospetto, chi con attenzione. Chi si sofferma su un particolare, chi si distrae. Chi scatta una foto con il telefonino oppure chi fa vivere il quadro per un pubblico di bambini. I primi piani dedicati agli sguardi dell’Hermitage anticipano il passaggio alle fotografie del Prado. Tutti quegli occhi rivolti a qualcosa che non possiamo vedere fanno pensare alle Las Meninas, al cui pubblico sono dedicate tre fotografie.
L’inquadratura non è più dal punto di vista dell’opera, ma la include, rappresentando una sorta di amplificazione degli sguardi, quelli dipinti da Velazquez e quelli reali degli spettori, che si incrociano e dialogano, oppure che si separano quando l’attenzione del pubblico si rivolge ad altro.
Con la serie di fotografie dedicate ai musei Museum Photographs, iniziata nel 1989, Struth vuole “ricordare al suo pubblico che le opere d’arte non furono create già come icone o pezzi da museo”. Rovesciando l’attenzione dall’opera al pubblico, inserisce nella temporalità immobile della grande arte il movimento veloce del nostro tempo. Le splendide sale dell’Hermitage e del Prado si riempiono di jeans e magliette colorate, occhiali da sole, audioguide, zaini, cellulari e macchine fotografiche digitali. Struth mostra come la vita passi anche nei musei, come anch’essi siano spazi sociali, in cui si trovano persone di differenti età, tenore di vita, istruzione.
E come il nostro sguardo sull’arte attraversi un cortocircuito di temporalità, sospeso tra storico e presente, tra capolavori che pretendono eternità e il tempo di un’effimera visita in un museo.
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