Una doppia personale, una mostra dalle forme eteroclite, mai così affini alla produzione del Museo Di Maggio. Con l’avvenenza che caratterizza gli spazi e le scelte delle collezioni che sfilano in via Tadino, sono ora presenti le opere scelte di Tamaso e l’installazione multimediale di Mazzella.
Per quanto riguarda la breve rassegna del pittore, scultore e disegnatore
Michele Tamaso (Milano, 1937), la scriminatura particolare dei lavori in mostra mantiene le impronte più
essenzialiste espresse dalle linee espositive precedenti. Le opere di Tamaso ripercorrono 14 anni di attività artistica, culturale e di pensiero, ridisegnando i concetti peculiari indagati dal milanese. Non è però stato incluso un mutamento radicale del suo precetto stilistico, avvenuto nel 1993, quando per la prima volta compare la dicitura della linea retta, che riecheggia un avvicinamento alla forma geometrica già riscontrato in alcune opere precedenti. Dodici anni dopo, invece, nel 2005, dopo essersi dedicato a lungo e con intensità alla scultura, Tamaso avverte la necessità di aggiungere alla propria ricerca pittorica le conclusioni alle quali è pervenuto, riversandole nell’immediato tridimensionale.
Dunque, le opere allestite da Mudima includono il lavoro di Tamaso dal ‘94, esponendo anche i
Progetti urbani che accompagnano le ultimissime
Proporzioni, terminate nei primi mesi del 2008. I dipinti alle pareti sono segni verticali che descrivono solidi, cilindri, quinte di taglio che si proiettano in avanti, seguendo l’istinto di una frattura verticale. Fessure profonde e scure che si corrispondono parallelamente, come a indicare un vuoto, un palpito buio che congiunge le superfici di ciascun segmento compositivo e lo rende vicino.
Le pareti che Tamaso dipinge sono due divisioni concave che restituiscono slancio allo sguardo, obbligando lo spettatore a una visione verticale, che non ha inizio né fine rispetto al taglio incorniciato, deciso della campitura. Come scrive l’artista stesso, anche se in maniera ellittica: “
Costruiamo un complesso di forme esatte e complementari di cui non conosciamo la fine; vengono a noi e si allontanano e sino a dove non sappiamo”.
Molto meno ambivalente e astratto risulta il tema d’ispirazione omerica scelto da
Marcello Mazzella (Napoli, 1965) per rievocare e contemporaneizzare la figura del Cavallo di Troia e la guerra dei dieci anni, fino ad arrivare a certi virus informatici dei nostri giorni, definiti anch’essi
trojan horses.
Il suo lavoro performativo-installativo è un bassorilievo realizzato in polistirolo espanso, sul quale viene proiettato un video documentale. Solo grazie ai visitatori, l’interazione completa e trasforma il
Cavallo di Troia, dipanandolo attraverso una serie illimitata di varianti.