Materiali eterogenei, protagonisti di opere ironiche e intense. E artisti diversi per età, importanza e tecniche di lavoro. E’ il filo, come suggerisce il titolo dell’esposizione, che nella prima sezione assume un valore nuovo, perdendo la sua funzione decorativa, in vista di un’espressione poetica. Che fa emergere la ricerca di materiali semplici e onesti, tratti da una realtà artigianale e spesso umile.
Gli artisti trattano con libertà e rigore tessuti, ricami, panni, sacchi, proponendo ora una Stilizzazione foreale come nell’omonima opera di Giacomo Balla, ora un collage su panno lenci con un’allegra e coloratissima Tarantella dalla mano di Fortunato Depero. Il bricolage con materiali “trovati” caratterizza il lavoro di Pino Pascali, presente con Colli di damigella, un’originalissima composizione di una figura che nasce dall’accostamento di dischi di corda intrecciata, usati per le damigiane di vino. Non manca in queste opere, come soprattutto nel ritratto di Mary Augusta Arnold Ward, English Writer di Enrico Baj un certo gusto dissacratorio, di chi intende ironicamente ricondurre lo spettatore alla percezione di una realtà diversa. Momenti di pensierosa intimità colpiscono nel lavoro di Manuela Carrano Corpo libero, che riunisce in un corpo a grandezza naturale le gioie e le esperienze di una vita, ereditando alcune tra le più innovative esperienze dei grandi che l’hanno preceduta.
Grandi che negli anni Cinquanta e Sessanta hanno rinnovato profondamente il linguaggio dell’arte, attraverso una sperimentazione coraggiosa delle diverse possibilità offerte dai materiali. Ecco allora Lucio Fontana con Concetto spaziale-Attese dove i famosi tagli invitano lo spettatore a cogliere una nuova dimensione dello spazio e del tempo; o Salvatore Scarpitta che con The painted bugle svela come il tessuto e i telai metallici di autocarri possano esprimere la loro ambigua natura di oggetti fortemente concreti e nello stesso tempo capaci di drammatiche e intense rappresentazioni.
La luce e l’elettricità sono, invece i linguaggi privilegiati degli artisti della seconda sezione “da Fontana a Flavin”, dove ancora una volta materiali inusuali divengono fonte di ispirazione poetica. I giochi di luce, gli accostamenti di colore, il farsi e il disfarsi della materia testimoniano un mondo antiaccademico, alla ricerca di esperienze, percezioni e immagini di indiscutibile fascino. I protagonisti degli anni Cinquanta e Sessanta sono presenti con opere esemplari, come Proiezioni dirette di Bruno Munari, capace di introdurre nuove tecniche di comunicazione visiva, o Soffitto di Lucio Fontana, anche qui maestro indiscusso di un’arte che ricerca sempre nuove e inedite dimensioni spaziali.
Gianni Colombo e Davide Boriani sperimentano rapporti tra percezione visiva e movimento meccanico, inaugurando nuove tendenze con l’utilizzo di diversi materiali. Mario Merz in Igloo con vortice propone un’opera paradigmatica dell’arte povera, in cui la natura appare nella sua energia da manipolare attraverso l’uso di elementi primari come fascine, bottiglie. Insieme al neon che raccoglie il tutto nella sua luce. Ancora neon anche per il minimal Dan Flavin che riesce ad alterare la percezione dell’ambiente e per Maurizio Nannucci con Idea crea un’immagine di luce colorata nelle più ricche sfumature. Il coreano Nam June Paik in “Clock” sintetizza forme, luci, colori, suoni in una scultura spazio-dinamica di grande suggestione, mentre Carlo Bernardini realizza un’istallazione usando delle fibre ottiche. Numerosi le altre opere in mostra, tra le quali spicca Tide Table di William Kentridge, una sequenza di immagini in cui si assiste al disegno che prende forma, in una intensa presa diretta del dolore del mondo, accompagnata da una musica di sussurrata tristezza.
giovanna canzi
mostra visitata il 10 giugno 2005
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