Un ingrandimento dell’immagine di una molecola di cemento
idrato invita alla personale di
Nicola Martini (Firenze, 1984). Un’immagine
inaccessibile allo spettatore, eppure presente e riscontrabile a un’analisi
microscopica.
Proprio la materia e le sue invisibili modificazioni sono
al centro della mostra, mettendo in scena un percorso di cambiamento che
celebra il divenire nel suo lento e inafferrabile procedere. Come il tempo per
sant’Agostino, perennemente in fuga da chi lo vuole comprendere e perfettamente
accessibile a chi non ne cerca una spiegazione. Nell’ordinato assemblaggio di
materie inerti, tubi metallici e vibrazioni sonore, Martini inserisce nello
spazio espositivo un circuito alchemico, fatto di trasmissioni di onde, sonore
e termiche, che attuano lente modificazioni nei materiali utilizzati.
Una piastra metallica viene fatta vibrare da un
amplificatore, che rielabora i suoni che si diffondono all’interno della
galleria. Dalla piastra si dirama un circuito di tubi di rame che scorre lungo
le pareti, mettendo in questione lo spazio espositivo come white cube e
asettico contenitore, infiltrandosi e fuoriuscendo dai muri, enfatizzandone angoli
e interstizi. L’architettura impazzita di tubi si diffonde nello spazio, lo
invade e amplifica i suoi caratteri. Così facendo, l’opera non si accontenta
dello spazio che le è dedicato, ma ne pretende e ne conquista altro,
accompagnando il suo nascondimento al suo essere esposta.
Il circuito di tubi si articola nello spazio passando per
alcune stazioni, effettivi momenti di sosta sui quali si sofferma lo sguardo
dello spettatore. In cui un materiale inerte, come il cemento o il grasso,
mostra la proprio ambigua presenza, ancora in bilico tra manifestazione e
occultamento. Il grasso radunato in un angolo può dare un’impressione di
soliditĂ scultorea, mentre una lastra di calcestruzzo curvata diventa, grazie
al calore di una resistenza a microonde, mutevole scenario del suo modificarsi
e disperdere la polvere bianca che è posta sulla sua superficie.
Tra il ronzio della piastra metallica, il circuito di tubi
e il suo sostare presso un materiale inerte in modificazione si svolge il
cerimoniale di una paradossale sepoltura in superficie che dĂ il titolo alla
mostra,
Burial deep in surfaces, esplicitazione di ciò che si nasconde nell’interramento,
il trasformarsi della sostanza dei corpi.
Martini riflette sul permanere dell’identità nel
mutamento, sostando sulla soglia del passaggio di stato, dove il grasso si
scioglie e il cemento lentamente si modifica, come metafora del cambiamento.
Come il legno che sta bruciando e non è ancora cenere, ostentano l’illogicitĂ
che si oppone all’incontrovertibile principio di non contraddizione, il
paradosso alla base di un Occidente la cui essenza, come direbbe Emanuele
Severino, è fondata sul nichilismo.
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scusate, questa è una mostra? non avevo capito