L’occhio e la mente. Un nero profondo, quasi spietato. Che trasfigura composizioni austere in surreali paesaggi dell’anima, permeati di senso.
Gli scatti perfetti delle opere di
Peter Schlör (Mannheim, 1964) – approdate in prestigiose collezioni private oltre che in gallerie d’arte tedesche, e ora alla personale dalla milanese Zonca & Zonca per la seconda volta – richiedono tempo: ogni foto è il traguardo di un ascetico rituale di amore per la luce, silenziose attese, meticolosa cura del dettaglio e simmetriche geometrie d’insieme.
Pare quasi di vederlo, assorto nel mezzo di solitari viaggi, alla ricerca di luoghi desertici e assolati da cristallizzare in forme fisse che narrano di abbandono e vita, natura densa di passato e scenari incompiuti, caparbiamente immersi nel presente. Come la rigida imponenza del villaggio fantasma di
Sinai 1 (2001), le cui scarne scatole per turisti, immortalate in ricercati giochi di linee e secchi chiari-scuro, si ergono ieratiche nel nulla. L’edificio a mattoni in costruzione di
Tao (2007) assorbe quasi interamente il nero, che sbuca severo da porte e finestre: l’entrata, attorniata in basso da macerie e attrezzi da muratura, ricorda la simbolica bocca della verità di un massiccio volto squadrato.
A dispetto del risultato finale – vale la pena di sottolinearlo – le foto sono rigorosamente ottenute con metodi tradizionali, affiancati a una tecnica di lavorazione particolarissima. Schlör scatta infatti in bianco e nero, senza strumenti digitali; i contrasti sono raggiunti aggiungendo pigmento nero in fase di stampa.
In virtù di questo sofisticato accorgimento, in
Mirador del Rio (2) (2007) il confine tra mare e spiaggia è esasperato al punto tale da rendere l’immagine lunare: le onde increspate assumono la forza corposa di materia lavica, sormontata dal buio pesto che, nella seconda foto (parte integrante dell’opera), cala sul flusso delle acque. Attenzione, lo scatto è identico: cambia solo la tonalità.
I depistaggi ottici si rincorrono nei lavori di Schlör, che gioca ad accostare gli stessi soggetti – come le palme de
La Geria 5 (2003-06) e di
Zuneigung (2003) – ripresi da angolazioni diverse, in un millimetrico continuum di linee.
La summa della sua poetica sta tutta nella teutonica composizione di
Zelve (2007), affresco su pellicola di un ancestrale villaggio turco nella roccia della Cappadocia, cui viene riservata un’intera parete: il curioso “
formaggio con i buchi ”, così appare all’artista, è un gruviera tutt’oggi abitato, spettacolo della natura eroso dall’azione millenaria di pioggia e vento, culla dei primi insediamenti cristiani.
All’uscita della mostra, lo scatto molto tedesco
Bellenkrappen (2008), omaggio al dipinto romantico
Kreidefelsen auf Rügen (1818) di
Caspar David Friedrich, anticipa il taglio introspettivo e autobiografico delle prossime foto di Schlör, voluto dalla Hugo Boss Art Collection come autore del suo esclusivo art pass 2009.