Alla sua prima personale italiana,
Matt Calderwood (Irlanda del Nord, 1975; vive a Londra) fa strada alla scoperta di una dimensione spaziale che utilizza l’installazione come un sottile ma efficace repertorio mnemonico d’archivio. Sculture e video fanno infatti emergere, ancora una volta, la verità malcerta nascosta dietro la rappresentazione.
Apparenza che, svolgendosi attorno all’idea di un tutto senza un vero inizio e una fine appropriata, può essere svelata soltanto se posta nell’itinerario circolare di un discorso progettuale instancabile. Un logos preciso e da
equilibrista, che sappia attrarre lo sguardo dell’osservatore attraverso un linguaggio secco, un dialogo pronto e un equilibrio estetico ricco di riflessi. Uno scenario dal gusto monocromo anche se carico di d’improvvisazione.
Matt Calderwood è infatti un artista capace di destare interesse immediato, seppure attraverso pochi pezzi in esposizione, istituendo un impianto estetico delicatamente riconoscibile, uno stile costruito attorno alla capacità umana e circoscritto alla dimensione della sospensione.
Pur non esaurendosi solamente all’interno di questo concetto, l’artista irlandese concepisce il vuoto alla Galleria Klerkx come un angolo in bilico, messo a disposizione puramente per significare.
Tanto all’interno delle due installazioni-impalcature, poste all’ingresso, quanto nelle sequenze del video proiettato poco al di fuori degli spazi, Calderwood restituisce una vibrazione stilistica chiara. Un’immagine finalizzata a testare le relazioni gravitazionali esistenti fra la materia, i materiali e i corpi messi in gioco nella composizione di nuove forme e combinazioni tridimensionali.
Il titolo di questa personale, dunque, non può che contenere in sé il necessario sapore conciso della
lectio brevis. Con
Works, l’irlandese destina la superficie levigatissima delle proprie sculture a diventare manufatto finito e, allo stesso tempo, opera fisicamente ancora in via di definizione. Il titolo scelto per parlare
in vece di questa mostra è dunque una sorta di definizione estratta e deducibile senza intoppi dai lavori scelti per la mostra; opere che, ricoperte di candidi fogli (composti coprenti di amalgame in pvc), diventano una sorta di prolungamento tridimensionale.
Una conformazione plastica che fa da ponte tra l’occhio e le pareti candide; entrambi elementi che, se non fossero posti sotto la medesima luce al neon, non sarebbero altrettanto memorabili e incisivi. Proprio come dimostra la struttura tagliente del bianchissimo
Untitled del 2008. La scultura crea una dimensione in grado di concepire e diventare scultura dell’equilibrio, presentando un impianto a disegno trapezoidale quasi del tutto inedito.
Calderwood dà così prova di saper interrompere, anche se brevemente, la pressione gravitazionale degli sguardi di chi, da ogni angolatura, si ostina a cercare un punto di cedimento fisico del sistema gravitazionale che insiste sull’opera.