La tradizione vuole che mentre affrescava l’Ultima cena nel refettorio di Santa Maria delle Grazie Leonardo da Vinci (Vinci 1452 – Amboise 1519) abitasse in una semplice casa messa a disposizione da Ludovico il Moro, a pochi passi dalla chiesa. Della casa resterebbe solo il giardino ricordato con il nome di giardini di Leonardo, ombreggiato e silenzioso, che oggi appartiene al Palazzo delle Stelline. A più di cinquecento anni di distanza un altro Ludovico –il curatore Pratesi– ha invitato al Palazzo delle Stelline Gianni Caravaggio (Rocca San Giovanni, 1968) Francesco Gennari (Pesaro, 1973) e Pietro Roccasalva (Modica, 1970) per un’esposizione dal tema intrigante. Dimostrare l’esistenza di una linea di continuità nell’arte che dalla ricerca di Leonardo arriva fino ai nostri giorni.
Non si tratta di una continuità formale –le opere esposte non hanno niente in comune con la pittura di Leonardo– ma di metodo. Per Leonardo la pittura è l’ultimo atto di un processo mentale; è preceduta da una fase progettuale nella quale confluiscono tutte le conoscenze dell’artista, dallo studio della natura e dell’anatomia alla geometria. Questa progettualità connessa ad una sorta di pensiero universale unisce i tre artisti a Leonardo da Vinci.
Lo spiega molto bene Pratesi: “il filo rosso dei ‘moti mentali’ ci permette di tentare di individuare l’invisibile tracciato di pensiero che intende l’opera d’arte non solo in qualità di mera espressione formale ma come la tappa di una ricerca intesa alla stregua di un processo cognitivo, un dato analitico frutto di un ragionamento concettuale.
Un’eredità che non va intesa quindi come il punto d’arrivo di un itinerario estetico, quanto piuttosto di un atteggiamento mentale”.
Dieci opere in mostra per tre artisti con caratteristiche differenti. Gianni Caravaggio –forse il più suggestivo e davvero leonardesco- indaga il concetto di tempo e la sua percezione; tra le opere presenti Starsystem, composizione di stelle marine in alluminio e La visione di una stella proiettata verso la sua origine, struttura in bronzo e alluminio rivestita di cioccolato fondente. Gennari riflette sull’esistenza umana; criptica e densa di significati l’opera fotografica Avendo se stessi come unico punto di riferimento, una lumaca prigioniera del proprio guscio avvolto da soffice panna montata. Meno incisivo Pietro Roccasalva: l’olio su tela Intelligent Artefice(r) -ritratto di un volto in parte uomo in parte robot- non riesce a trasmettere la complessità del progetto dell’autore, non suscita il desiderio di andare
Conclude l’esposizione un video: Sergio Calatroni, Giovanni Chiaramonte, Maria Antonietta Crippa e Pietro Marani spiegano come la ricerca di Leonardo sia l’origine di un percorso che giunge fino alla Milano contemporanea, al design alla fotografia, all’arte.
Affascinante l’idea della mostra, fallace la realizzazione. Le opere sono esposte in uno spazio ristretto, troppo vicine l’una all’altra e poco godibili. Il video che dà una chiave di lettura dell’esposizione sarebbe stato più utile all’inizio invece che in chiusura (il consiglio per lo spettatore è di dedicarsi prima al video poi alle opere). Scarsa la documentazione fornita per comprendere le ragioni della mostra: solo una nota con una breve introduzione e una sintetica descrizione delle opere. Per avvicinare il pubblico dei non assidui dell’arte contemporanea –era o non era questo il target?- sarebbe stato necessario qualche suggerimento in più per capire perché un tubo di acciaio rivestito di cioccolato discende dal concetto di arte di Leonardo da Vinci.
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dai, diciamocelo che Roccasalva è un raccomandato da Giacinto Di Pietrantonio.
lo si sa.
e diciamocelo pure...e chi se ne frega?non siam mica alle elementari dove la maestra deve voler bene a tutti i bambini, GdP avrà ben diritto ad avere delle preferenze!!!