Guido Biasi (Napoli, 1933 – Parigi, 1983) inizia a rappresentare con dimestichezza l’irrealtà che gli è propria solo negli anni ‘60. Il pittore, pur continuando a esser presente con alcuni progetti e lavori in Italia, decide di trasferirsi definitivamente a Parigi, dove collabora con le riviste importanti che promuoveranno il suo modo di fare arte anche a Francoforte, ad Amburgo e a Bruxelles, ove in quegli anni, a breve distanza tra loro, vengono tenute tre sue personali.
È questo il periodo di stabilità espressiva e di solidità nella resa estetica, caratteristiche che renderanno i suoi noti
mondi per la memoria degli ambienti ben delineati; universi
surrealizzanti la cui tecnica e le griglie compositive divengono sempre più raffinate e riconoscibili. Nei quadri realizzati durante questo primo decennio dei ‘60, per Biasi la pittura inizia a diventare un percorso immaginifico creato per la meditazione e la contemplazione del ricordo; e del valore di quest’ultimo di fronte alla storia e alla cultura messe in rapporto con il presente.
Alla Galleria Blu, dopo quasi quarant’anni d’assenza, torna una personale dell’artista napoletano che, dopo aver attraversato un secolo d’arte e di artisti (in vita frequentava
Baj,
Colucci,
Manzoni,
Sordini e
Verga), torna in galleria. Benché postuma, questa breve retrospettiva, attraverso una ventina di lavori rappresentativi, tele a olio che vanno all’incirca dal 1961 al 1981, riporta quasi per intero lo sguardo di un Biasi traslucido e
oniroide, uno sguardo centrato su vent’anni di pittura e di storia della pittura.
Dunque, il ridotto numero di tele esposte diventa importante, anche se non fondamentale (data la scelta di non esporre i saggi e i pamphlet pubblicati dal Biasi “
esegeta d’arte”), per comprenderne il percorso di ricerca formale e i punti cardine della sua poetica. Da vedere, per assaporare il mondo stanziale, letterario e a tratti fané, gli omaggi a Borges, a Henry James, a Proust e a
Redon.
Da considerare con maggiore attenzione, proprio vicino all’ingresso, l’
Hommage à la Hollande – quest’opera del 1969, dipinto di netto schieramento di pensiero, sarà il lasciapassare che gli garantirà l’ospitalità allo Stedelijk Museum di Amsterdam – e poi le sue roccaforti come le
mnemoteche, le
memorie ecologiche e le instancabili
museologie. Particolarmente vivace e densa, sia per quanto riguarda il portamento delle campiture e che per l’andatura strutturale del quadro, la
Museologia del 1976, esposta due anni dopo alla Biennale di Venezia.
Nel complesso, queste venti opere ricalcano i passaggi più chiari e sfidanti dei progetti visivi dell’artista. Biasi, e da qui prende spunto il titolo della mostra (
Un eretico dell’arte), dichiarava lucidamente, guardando a se stesso: “
Io sono, come artista, un eretico. Eppure la mia pittura è moderna“. Quando con l’aggettivo “moderno” poneva un limite interno alla vastità del linguaggio iconico, per Biasi mai abbastanza esterno da sostituirsi, sovrapponendosi, alla verità del reale.