Fotografia talmente evocativa da sembrare cinema: ecco in sintesi l’arte di Tracey Moffatt (Brisbane, Australia, 1960), cui lo Spazio Oberdan dedica una retrospettiva esauriente, ben curata e ben allestita. L’arte della Moffatt spazza via le sterili discussioni sull’artisticità della fotografia: si tratta di arte a 360°, che arriva a inglobare in sé anche l’universo extra-artistico, quindi il vissuto dello spettatore.
Due le opere chiave della mostra: Scarred for life, il capolavoro della Moffatt, e Something More, vera opera-manifesto. In Scarred for life (1994 e 1999) vengono immortalati attimi intimi ma emblematici della vita del soggetto; all’immagine si accompagna una breve didascalia che descrive, con una sorta di “espressionismo verbale”, la situazione raffigurata. L’immensa umanità che si sprigiona da queste istantanee di vita collega l’aneddoto fotografato all’esperienza universale, che ogni spettatore può riconoscere come sua. Tutto ciò fa di questa serie di scatti una sorta di album dei ricordi collettivo.
Una delle caratteristiche principali della fotografia della Moffatt è la sua cinematograficità. Ogni foto costituisce un momento di una possibile trama, che peraltro rimane sempre accennata e incerta: ci si può divertire ad immaginare una storia, ma non si trovano conferme. Le nove foto di Something more (1989) potrebbero essere lo storyboard di un film di David Lynch, di cui però si siano perse alcune sequenze. La protagonista sembra volersi allontanare dallo scenario dell’Australia rurale, sogna (o realizza?) amori interrazziali, finisce uccisa sulla strada verso l’Australia più occidentalizzata.
L’Australia, si diceva: nelle opere dell’artista è presente la sua origine di aborigena adottata da una famiglia bianca; ma tale origine rimane in controluce, s’intravede soltanto, grazie alla strabiliante capacità di sintesi estetica della Moffatt.
L’ecletticità dell’immaginario dell’artista spazia fra gli scenari più svariati. I lavori più recenti costituiscono un tuffo nel pop e nel trash: in Adventure series l’artista stessa impersona la sensuale protagonista di un popolare fumetto d’avventura australiano; nel serioso divertissement intitolato Under the sign of Scorpio incarna invece alcune eroine dell’immaginario popolare che sono nate sotto il segno dello Scorpione come l’artista. Qualche nome? Da Bjork a Catherine Deneuve, da Indira Ghandi a Marie Curie. Tutt’altra atmosfera nelle foto finto-vintage di Laudanum, un raffinatissimo intreccio di sadomasochismo e erotismo in cui serva e padrona si scambiano di ruolo e subiscono una sorte parimenti tragica.
L’unica delusione della mostra? I film e i video: i caleidoscopici montaggi di frammenti di cinema hollywoodiano riescono al massimo a strappare qualche sorriso.
Una mostra comunque da non perdere per immergersi nell’immaginario della Moffatt, insieme personalissimo e collettivo. E per perdersi nei suoi scenari ad un tempo immaginifici e concreti.
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