Categorie: Moda

MODA

di - 24 Novembre 2018
Non per essere ripetitivi ma sei/otto collezioni l’anno sono davvero troppe. Per non parlare delle capsule e collaborazioni varie ed eventuali. Le idee che escono dalle stesse menti si riproducono troppo velocemente: chi si occupa materialmente della realizzazione dei capi è costretto a lavorare giorno e notte e alcuni pezzi vengono cancellati (anche i più significativi per gli stilisti) perché non si riescono a vendere in un lasso di tempo preciso, visto che i negozi cambiano continuamente i display delle vetrine.
La formula “è bravo ma può fare di più” che hanno sentito generazioni di studenti non è più applicabile nella vita reale.
Di più.
La chiave sta nel produrre di più per avere di più, per fatturare di più. Si corre su quel tapis roulant del tempo non considerando nient’altro, con l’acqua alla gola si deve fare presto ed è inammissibile non riuscire a completare anche solo un bottone.
anche solo un bottone
Tutto a posto, niente in ordine.
Un mese fa circa, parlando con Kate Fletcher, considerata dai più “il guru della sostenibilità” l’argomento era una doppia personalità della Signora Moda: da una parte i Green Carpet Fashion Awards, dall’altra le sei-otto collezioni l’anno.
«L’equilibrio sta nel ritrovare la moda al di là di un ciclo di produzione e consumo», spiega Fletcher.
Potrebbe apparire un’affermazione utopistica se non fosse che qualcuno presenta da tempo quattro collezioni l’anno (vedi Yohji Yamamoto o Rick Owens) e qualcun altro ha anche deciso di far sfilare donna e uomo insieme (vedi Raf Simons per Calvin Klein).
Il maestro Yamamoto è stato chiaro in un’intervista: «Don’t go too fast, look back».
La paura del fallimento deve essere una spinta, non deve essere la corsa in sé perché nell’eccessiva velocità, i bottoni si scuciono ugualmente, le zip saltano, le carte di credito negano le transazioni.
Keep Calm.
chi ha ancora il tempo di farlo?
Lo ripetiamo a noi stessi il lunedì mattina, lo dobbiamo urlare forte nel mondo della moda.
Non possiamo ubbidire ancora al dio FAST trattando quegli abiti come fossero frisbee dal nostro armadio al cestino dell’indifferenziata.
Piuttosto proviamo a capire realmente come sono realizzati i nostri abiti prendendocene cura. L’autrice del libro Fashion, Design and Sustainability (edito da Postmedia), Kate Fletcher appunto, ha ricordato come i nostri genitori e i nostri nonni siano stati educati alla manutenzione degli indumenti, dei materiali. Ragion per cui, le mamme e le nonne, distinguono subito un buon materiale.
Dovrebbe esserci in tutte le scuole, nelle accademie di moda, un’educazione del genere.
Si dovrebbe comprare di meno (perché la qualità costa) per avere di più.
Daniele Calcaterra, in occasione del suo press day, ha illustrato il processo che ha portato alla realizzazione di un colore.
Chi ha ancora il tempo di farlo?
L’identità del singolo, se proprio non deve essere una questione etica, proviamo a farla diventare una questione estetica.
Chiara Antille
Illustrazioni di Ivan D’Onofrio

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