A Journey Inward – Urban Rumors. Installation view, Galleria Gilda Lavia, Roma. Ph. Giorgio Benni
Con l’occasione di A Journey Inward – Urban Rumors, mostra collettiva che unisce Ruth Barabash, Anya Belyat Giunta, Heo Chanmi, Elzévir, Aron Gàbor, Allison Hawkins, Marine Joatton, Felice Levini, Christoph Mayer, Marina Paris, László László Révész e Johann Julian Taupe negli spazi della Galleria Gilda Lavia, abbiamo incontrato il curatore Lorand Hegyi per ripercorrere l’ideazione di questo progetto che si configura come una riflessione su due dimensioni complementari dell’esperienza umana.
Il titolo della mostra unisce due mondi: l’interiorità e la cultura urbana. Da dove nasce l’idea di mettere in dialogo queste due realtà?
«Ci sono due contesti in cui ci muoviamo e agiamo: la nostra interiorità e il mondo esterno. Entrambi sono estremamente complessi e del tutto eterogenei ma allo stesso tempo si compenetrano. Questo implica che non sono separabili o – per dirla in modo ancora più radicale – sono, in realtà, due aspetti della stessa esperienza umana. Per questo considero questi due punti di vista come un’unità dialettica, che funziona perfettamente come narrazione per una mostra tematica».
La prima parte dell’esposizione conduce i visitatori in «viaggio verso l’oscuro regno dell’interiorità». Che tipo di esperienze emotive vengono presentate?
«Nella prima parte dell’esposizione ci si confronta con innumerevoli, piccoli, ma significativi messaggi celati di stati d’animo, incarnazioni dell’immaginazione più oscura, della paura e dell’ansia. Ricordi di sogni insoliti e fenomeni inspiegabili, visioni di scenari inverosimili, espressioni di impulsi e desideri interiori. Questo è quello che costituisce il soggetto di The Journey Inward».
La seconda parte, invece, porta nel cuore della vita urbana. In che modo i fenomeni della cultura cittadina vengono raccontati nelle opere in mostra?
«Le opere presentate in questa sezione riflettono i fenomeni caotici, stimolanti, affascinanti e, allo stesso tempo, disturbanti e disorientanti della vita urbana contemporanea. Una vita estremamente eterogenea, nebulosa e stratificata; non abbiamo alcuna bussola per attraversare questa giungla urbana. La nostra navigazione si affida all’istinto e alla creatività che ci inducono ad associare elementi che non hanno una connessione logica, ma che la vita stessa accosta, spesso in modo conflittuale e precario. I Urban Rumors sono la nostra realtà, in cui momenti vissuti e momenti immaginati, modelli razionali ed energie irrazionali si mescolano. È per questo che tutto ciò è tanto affascinante quanto disorientante».
Elementi cinematografici e teatrali si mescolano a visioni utopiche della futura megalopoli. Messaggi testuali e loghi visivi si fondono con oggetti reali e frammenti architettonici. Quale ruolo ha la contaminazione di linguaggi differenti nel percorso espositivo?
«È esattamente questo l’oggetto del lavoro degli artisti in questa parte della mostra: esiste una sorta di contaminazione permanente di linguaggi diversi, segni, sistemi semantici, così come di valori e modelli di vita differenti, che inevitabilmente coesistono e si influenzano a vicenda. Questo può risultare disturbante e sovversivo, ma genera continuamente nuove combinazioni e nuovi modelli di coesistenza tra sistemi differenti».
Il racconto di queste tematiche viene affidato alle voci di 12 artisti differenti. In che modo la direzione di ricerca di ognuno di loro si combina nel percorso espositivo?
«Come sempre, tutto è inevitabilmente legato alla scelta del curatore, alle sue inclinazioni e, soprattutto, alla sua sensibilità. Conosco questi artisti da molto tempo, alcuni da oltre trent’anni; ho lavorato con loro in diverse occasioni, in varie mostre ed eventi, e quindi conosciamo bene i reciproci modi di pensare e di sentire. La selezione delle opere è stata condotta in completa armonia con gli artisti, discutendo più volte il tema della mostra; potrei dire che abbiamo riflettuto su questi temi e queste suggestioni per molto tempo. Perché non si tratta soltanto di una mostra: io considero questo progetto come parte di un confronto costante. Direi che, per me – e per questi artisti – ogni mostra è una tappa di una lunga e continua rielaborazione di queste esperienze, e, in questo senso, ciascuna esposizione è una nuova formulazione della nostra narrazione passata».
In mostra sono presentate tutte opere incentrate sul disegno. Perché viene considerato uno dei media più rappresentativi dell’espressione artistica contemporanea?
«Perché il disegno offre un punto di vista espressivo estremamente personale, intimo e spontaneo; non necessita di una lunga e precisa esecuzione né di una forma monumentale, definitiva e perfettamente precisa: è piuttosto la “parola visiva” che include improvvisazione ed esitazione, insicurezza e dubbio.
Un altro aspetto molto importante del disegno è che rappresenta in modo esemplare l’incertezza della nostra epoca. Invece di mirare a creare una forma monumentale, spettacolare e travolgente di pseudo-certezza – che si tratti di ideologia, politica o messianismo – il disegno offre un’espressione intima, sensibile, empatica e partecipativa del nostro orientamento nel mondo, senza suggerire soluzioni definitive o processi rigidamente pianificati verso una pseudo-perfezione. Il disegno può essere considerato “imperfetto”, ma è vitale e altamente sensibile».
Oltre a questa mostra, come si immagina l’evoluzione del disegno nell’arte contemporanea?
«La risposta alla domanda precedente rivela cosa penso del disegno: lo considero un mezzo di espressione altamente sensibile e personale, capace di sviluppare una narrazione visiva autentica che rifletta i nostri dubbi, le nostre paure e incertezze, ma anche il nostro desiderio di trasmettere realtà sostanziali che possano contribuire al nostro generale orientamento umano».
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