La consueta annuale mostra estiva al Forte di Belvedere, quest’anno è dedicata all’artista trevigiano Nico Vascellari (Vittorio Veneto, 1976) che torna a Firenze dopo 25 anni dalla sua prima esposizione in città e al Forte di Belvedere propone una serie di opere per lo più inedite, realizzate per il luogo, che “invadono” sia gli spazi esterni dei bastioni sia quelli interni della palazzina rinascimentale. Il titolo della mostra, Melma, richiama qualcosa di negativo, repellente, sporco. Melma, infatti, significa “terra intrisa d’acqua”, è sinonimo quindi di fanghiglia, e nella sua accezione figurata assume il senso di situazione equivoca e sgradevole, di ambiente corrotto.
Le opere esposte danno l’idea di respingimento, di poco accattivante, creano una sorta di corto circuito con il fruitore, suggerendo qualcosa di riconducibile alla sfera del negativo. Nico Vascellari non vuole esprimere un giudizio morale, bensì sostiene che l’uomo è melmoso, brutale, violento ma al tempo stesso in lui si ritrova una componente angelica, dolce e ingenua. La melma è una materia primordiale che richiama qualcosa di paludoso, pasticciato, magmatico: eppure, immergendo le mani in questa poltiglia sporca, ci si imbatte in qualcosa che non si conosce e che si tenta di scoprire. La melma, come la foschia, rimanda ad alcune mitologie, permette l’accesso al magico, al misterioso, a un mondo di sensazioni prenatali date dall’idea che l’umano venga plasmato dalla terra, dall’humus. L’opera, in questo contesto, assume il valore di percezione: chiedersi quale significato possa avere è già come decretare la morte dell’opera stessa. Lo scopo dell’arte è il saper riuscire a tirare fuori quel turbamento che è dentro di noi, la melma, appunto.
Morte e vita sono una cosa sola, esistono solo corruzione e rigenerazione; a una caduta corrisponde sempre una “rinascita”. «Il tempo scorre e un fiore nasce e muore per poi rinascere» spiega Sergio Risaliti, direttore del Museo Novecento di Firenze e curatore della mostra. «Il corpo di un volatile scavato dalla morte si colma di acqua e offre ristoro ad altre creature dell’aria e della terra. Un cavallo e un cervo hanno qualcosa di divino che manca alla meccanica. Ma possono esistere nuovi centauri, forme ibride di natura animale e industriale. Mentre la tecnologia abbrutisce l’uomo e distrugge l’equilibrio planetario, l’arte produce meraviglia, genera forme poetiche per rigenerare la nostra sensibilità e riconsegnarci alla natura, piegando la tecnica a servizio di una dolce armonia tra viventi».
Sono le opere poste all’esterno del Forte di Belvedere quelle che maggiormente mettono in relazione la meccanica con il divino. La serie Horse Power nasce dalla volontà di trovare un connubio tra la forza umana, quella animale e quella meccanica. Si tratta di sculture di animali in alluminio dai ventri aperti, squartati in cui sono inglobati elementi meccanici e parti di motori di automobili. L’interno della palazzina accoglie invece al pian terreno alcuni video che analizzano la relazione tra uomo e natura, intrecciando la dimensione personale a quella collettiva, mentre ai due piani superiori sono presentate opere molto diverse tra loro ma che hanno come filo conduttore il rapporto tra uomo e natura, tra esistenza e trascendenza, il tutto visto attraverso un approccio antropologico.
L’uomo è parte del mondo animale e, nonostante attraverso le nuove tecnologie tenti di approcciarsi a una dimensione artificiale, non riesce a separarsene radicalmente. «Siamo melma e soffio» prosegue Risaliti. «Ma non è in questa origine melmosa che dobbiamo riconoscere la parte maledetta, il male, la sostanza negativa dell’esserci. Se c’è del germe di cielo, se c’è un soffio divino, è fin da subito nella poltiglia di cui tutti siamo fatti».
La mostra al Forte è solo la prima tappa di un progetto più ampio, voluto da Risaliti, che avrà il suo sviluppo nel centro di Firenze in autunno: Piazza della Signoria, Palazzo Vecchio e il Museo Novecento ospiteranno una serie di opere, tra cui una nuova installazione per l’Arengario, una performance site-specific ideata dall’artista per il Salone dei Cinquecento e una serie di lavori nella sede delle ex-Leopoldine, tenendo conto del peculiare rapporto tra Rinascimento e contemporaneità, tra lo spazio pubblico della piazza e il luogo politico.
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