© Fondazione Querini Stampalia Disapparire. Antonio Corradini e Luigi Ghirri 13 dicembre 2025 - 12 aprile 2026 Foto Adriano Mura
C’è qualcosa di controintuitivo, almeno in apparenza, nel mettere in dialogo i lavori di Antonio Corradini e di Luigi Ghirri: da un lato, uno scultore barocco ossessionato dal virtuosismo del marmo, dall’altro un fotografo concettuale che ha fatto proprio dell’anti-spettacolarità il proprio lessico. Eppure, è proprio in questo attrito che si sviluppa e trova la sua ragion d’essere la mostra Disapparire. Antonio Corradini e Luigi Ghirri, presentata a Fondazione Querini Stampalia e curata da Elisabetta Dal Carlo, Lara Marchese, Marta Savaris e Babet Trevisan con Monica De Vincenti.
A unire le due poetiche c’è un velo sottile: un elemento che incrina lo sguardo e che caratterizza tanto il lavoro scultoreo di Corradini quanto la visione fotografica di Ghirri. Questo velo, questo offuscamento è una scelta tanto concettuale quanto tecnica, e lo dimostra lo stesso Corradini, che ci gioca per creare una soglia tra ciò che si mostra e ciò che si sottrae, tra la presenza fisica e la sua continua messa in crisi.
È proprio da una sua opera che nasce l’idea stessa della mostra: un medaglione in marmo raffigurante un volto femminile velato, recentemente rinvenuto nei depositi della Fondazione e oggi attribuito ad Antonio Corradini. Attorno a questa Fede velata – fragile e potentissima insieme – si costruisce un dialogo serrato con il bozzetto in terracotta del Cristo velato, concepito per la Cappella Sansevero di Napoli, e con un busto marmoreo proveniente da Ca’ Rezzonico.
Il marmo, sotto le sue mani, non afferma la propria solidità, ma piuttosto la nega, la mette in dubbio davanti agli occhi stupiti dello spettatore. La pietra diventa luce trattenuta, superficie vibrante, materia che sembra sul punto di scomparire. È sempre lo sguardo che si ritrova il compito – e la responsabilità – di completare l’immagine.
A rispondere, nello stesso spazio, è la fotografia di Luigi Ghirri. Gli scatti, provenienti dal Fondo Ghirri, in comodato alla Querini Stampalia, sembrano infatti muoversi secondo una logica affine: anche qui la visione non è mai piena, mai nitida. Nebbie, luci diffuse, orizzonti bassi e paesaggi sospesi trasformano l’immagine fotografica in una superficie fragile, attraversata dal tempo e dalla memoria. Per Ghirri, vedere non significa afferrare il mondo, ma accettarne l’opacità.
Il dialogo tra Corradini e Ghirri non si fonda quindi su analogie formali, ma su una comune postura epistemologica: entrambi lavorano sul limite della visibilità, sul dare forma all’assenza e rendere percepibile ciò che sfugge.
L’allestimento amplifica questa logica di soglia: un velo bianco, sottilissimo, riveste le pareti e trasforma lo spazio espositivo in una sorta di scrigno, un candido cofanetto sospeso. Le opere non si impongono frontalmente, ma sembrano emergere dalla luce, apparire e scomparire a seconda del punto di vista. È un ambiente intimo, che chiede lentezza, attenzione e una disposizione all’incertezza.
In una città come Venezia, dove ogni immagine è già un riflesso e ogni presenza convive con la propria sparizione, il tema del velo assume una risonanza quasi naturale. Disapparire non propone risposte, ma una postura dello sguardo: accettare che vedere significhi sempre, in parte, perdere.
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