Joanna Vasconcelos, Flowers of My Desire, 2025, Ascona Museo Comunale d'Arte Moderna, credits Nicola Gnesi
Fino al 12 ottobre 2025, il Museo Comunale d’Arte Moderna di Ascona ospita Flowers of My Desire, prima grande esposizione pubblica in Svizzera dedicata a Joana Vasconcelos, tra le voci più riconoscibili e radicali dell’arte contemporanea europea. Celebre per le sue installazioni monumentali e per una poetica che intreccia artigianato, ironia e impegno sociale, l’artista portoghese propone un viaggio immersivo che attraversa oltre trent’anni di ricerca visiva. La mostra, curata da Mara Folini e Alberto Fiz, si struttura come una vera antologia sensibile, stratificata, affettiva e politica.
Chi sono le Valchirie oggi? Come può un oggetto diventare disobbediente? E cosa accade quando la medicina entra nel cuore dello spazio domestico?
Vasconcelos risponde a queste domande componendo un lessico personale e collettivo, un mondo in cui la decorazione diventa pensiero, l’uncinetto si fa atto politico e l’ironia agisce come strumento di smascheramento sociale. I suoi sono, come li definisce lo stesso Fiz, “oggetti disobbedienti”: forme che sfuggono alla funzione, al vincolo d’uso, al rassicurante equilibrio della norma. Ne deriva un’estetica del polimorfo, del molteplice, del fluido: paesaggi ricamati, corpi grotteschi, ibridazioni domestiche e affettive.
L’incipit espositivo è un gesto liminale. Con Wash and Go (1998), installazione composta da rulli da autolavaggio colorati, il visitatore è costretto a varcare una soglia simbolica: un passaggio quasi iniziatico, che introduce a un mondo parallelo fatto di sovversione dolce e materica. Subito dopo, la monumentale Baronessa (2023), scultura tessile alta dieci metri, si erge come un totem biomorfo e deificato. È un omaggio a Marianne Werefkin, figura fondativa del museo e pioniera dell’Espressionismo europeo, ma è anche molto di più: è corpo fluido, è presenza femminile, è dichiarazione politica. Scrive Fiz: «Biomorfe e colorate, le Valchirie sono creature organiche che si muovono nel cosmo senza rispettare le regole stabilite».
La Valchiria è, appunto, l’archetipo del sovvertimento: si manifesta anche in Red Independent Heart (2013), installazione cinetica e sonora sospesa su un asse rotante. Il cuore, reinterpretazione del Cuore di Viana, simbolo tradizionale portoghese, è realizzato con forchette di plastica rossa, in un cortocircuito visivo e concettuale che trasforma la sacralità in ironia e il kitsch in potenza simbolica. Ruota come la vita, come la danza, come il fado (genere musicale popolare portoghese), di Amália Rodrigues, che accompagna il suo movimento. Il cuore pulsa, e con esso la memoria di un popolo, di un amore, di un’identità.
La casa, spazio della cura, ma anche della reclusione, è l’altro grande asse tematico della mostra. In Cama Valium (1998), un letto composto interamente da blister di medicinali si offre come metafora ferocemente silenziosa della medicalizzazione del disagio contemporaneo. L’estetica è pulita, clinica, ma il sottotesto è tagliente: il farmaco come rito domestico, come gabbia quotidiana, come lusso sociale. «Un letto di pillole che vale più di un Picasso», afferma Vasconcelos in modo ironico.
L’intimità si fa memoria in Vista Interior (2000), una sorta di vetrina di oggetti dimenticati, reliquie familiari, tracce di un tempo sospeso. Ma lo spazio domestico è anche luogo della tensione e del perturbante: Fashion Victims (2018) e Menu do Dia (2001) propongono accostamenti disturbanti tra pellicce e frigoriferi, lusso e consumo, fragilità e potere. In queste opere, come nei Crochet Paintings o negli Stupid Furniture, l’artista elabora una personale grammatica del recupero, della contaminazione, del surreale affettivo.
In ogni stanza, la materia si fa linguaggio: il filo diventa scrittura, il mobile si anima, l’oggetto quotidiano si carica di senso e contraddizione. L’uncinetto, cifra stilistica ricorrente, è gesto femminile e sovversivo, è carezza e insubordinazione, è resistenza culturale. Vasconcelos non espone, trasforma. Non racconta, interroga. Non decora, disturba.
«Sarò femminista fino a quando Dio porterà la barba»
Joana Vasconcelos
In Flowers of My Desire, la frivolezza è solo apparente. Sotto ogni superficie colorata, si cela una denuncia. Sotto ogni forma festosa, pulsa un’ombra. È proprio questa ambiguità a rendere la mostra potente: la capacità di creare uno spazio intimo e collettivo, domestico e politico, in cui l’arte si fa azione e l’oggetto diventa atto di disobbedienza.
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