Installation view Venezia di Riccardo Guarneri con Virgilio Guidi, a cura di Stefano Cecchetto, courtesy Galleria Michela Rizzo, ph Enrico Fiorese.
Silenzio, spazio e luce: sono questi i tre elementi alla base di ogni opera, di ogni pennellata di Riccardo Guarneri (Firenze, 1933) e Virgilio Guidi (Roma, 1891 – Venezia, 1984). Silenzio, spazio e luce. Tre elementi immateriali, fumosi, che, impilati l’uno sull’altro come mattoni, danno però vita a paesaggi sospesi, atmosfere di un tenue azzurro pastello, in una parola: a Venezia.
Proprio Venezia è infatti la dolce ispirazione che ha guidato le mani di entrambi gli artisti e quest’attrazione magnetica per la laguna è oggi indagata nella mostra Riccardo Guarneri con Virgilio Guidi. Venezia, curata da Stefano Cecchetto e visitabile presso la sede giudecchina di Galleria Michela Rizzo fino al prossimo 12 marzo.
Per Guidi, in particolare, la città sospesa sul mare è una visione abbagliante, che lo ammalia al punto da diventare elemento centrale della sua ricerca: e così, la sua pittura acquerellata è un susseguirsi di visioni della laguna, delle sue isole e dei suoi edifici più caratteristici. Non è l’accuratezza che interessa il pennello di Guidi, ma piuttosto il trasmettere in una tela i colori morbidi di Venezia, la sua purezza e la sua chiarezza.
Al piano terra della galleria incontriamo alcuni suoi lavori realizzati tra anni Cinquanta e Sessanta, racchiusi in pesanti cornici dorate che non riescono ad intrappolare la leggerezza del tratto di Guidi. Al primo piano, invece, si trovano opere più recenti, in particolare produzioni degli anni Settanta, tra cui tutto un susseguirsi di visioni dell’isola di San Giorgio, che per l’artista romano diventa quasi un miraggio di luce e colore.
Queste rappresentazioni ci danno anche un’idea di quanto Guidi si ritrovasse attratto dalla serialità, dalle piccole variazioni su uno stesso tema. Lo stesso si potrebbe dire per le opere di Riccardo Guarneri: per lui, ogni dipinto nasce da pregi e difetti del lavoro precedente, è il mutare all’infinito di uno stesso sentimento.
Anche Guarneri, poi, rimane esterrefatto alla vista di Venezia, che definisce la città più bella del mondo e «un ceffone di bellezza». Se la matrice è la stessa, il risultato è però diametralmente opposto: Guarneri si allontana infatti dal figurativo e predilige la pittura analitica e aniconica. Si interessa alle proprietà luminose del colore e alle possibilità pittoriche della scrittura. Il risultato sono composizioni astratte, dove gli strati di colore si accavallano l’uno sull’altro per dar vita ad un’atmosfera mai completamente decifrabile.
Dal 1964 la sua ricerca si fa poi più geometrica, spigolosa: è una danza di quadrati, rombi e rettangoli allungati che si accostano l’un l’altro mantenendo le stesse tinte pastello. Questa scelta di tonalità, che si rintraccia in tutta la sua produzione, può essere letta come un riferimento all’antico, alle dimensioni lontane degli affreschi pompeiani: un tentativo di rileggere in chiave contemporanea quel qualcosa di universale che collega la pittura attraverso i secoli.
Nella mostra, dunque, il dialogo tra Guidi e Guarneri si sviluppa attraverso contrasti e affinità: da un lato, la Venezia rarefatta e luminosa di Guidi, dall’altro, l’astrazione misurata di Guarneri, dove la luce si traduce in segno e geometria. Entrambi, però, sembrano rincorrere la stessa essenza immateriale, cercando nella pittura un linguaggio capace di restituire il tempo sospeso della laguna. In questa tensione tra figurazione e astrazione, tra visione e struttura, emerge una Venezia che non è solo luogo, ma principio pittorico.
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