A Venezia, negli spazi ALMA ZEVI, dallo scorso 26 marzo Ăš allestita la collettiva âEARTH: Keith Arnatt, Heidi Bucher, James Capperâ, «una mostra che esplora il lavoro radicale di tre artisti allâinterno del contesto del paesaggio e della performance». Gli artisti britannici Keith Arnatt (1930-2008) e James Capper (1987) e lâartista svizzera Heidi Bucher (1926-1993) «usano la fotografia, il collage, il disegno e la scultura per dare una forma concreta a processi al contempo duraturi ed effimeri. Combinando assieme queste diverse tecniche artistiche e documentarie, ciascuno di loro crea il proprio mondo, unico e autosufficiente», ha spiegato la galleria.
La mostra al momento Ăš visitabile solo in versione online e la galleria offre tour virtuali prenotabili inviando una mail allâindirizzo info@almazevi.com, mentre si attende il momento in cui sarĂ possibile tornare ad accogliere il pubblico in galleria.
«La mostra presenta fotografie e collage fotografici dagli anni Sessanta agli anni Ottanta, accompagnati da disegni e sculture piĂč recenti.
âEARTHâ inoltre prende in esame il modo in cui per Arnatt, Bucher e Capper la presenza umana Ăš indissolubilmente legata al paesaggio». Arnatt, Capper e Bucher, infatti, ha sottolineato la galleria, «condividono tutti una particolare connessione con la Land Art, movimento dominante in Europa e negli Stati Uniti negli anni Sessanta. Gli artisti associati a questo movimento si concentravano sullâespansione dei materiali utilizzati per la scultura introducendo, ad esempio, lâuso di terra, rocce e fango. Essi hanno inoltre integrato nella loro pratica elementi propri della Performance Art e della fotografia documentaria. Ă allâinterno di questa cornice teorica quindi che si possono esaminare i singoli artisti inclusi in âEARTHâ».
Le ricerche dei tre artisti vengono messo in relazione la prima volta, dopo che ALMA ZEVI ha lavorato con ciascuno di loro in diverse occasioni: «La mostra â ha proseguito la galleria â fa seguito alle precedenti presentazioni di ALMA ZEVI sul lavoro di Heidi Bucher (2019, 2017) e di James Capper (2017, 2015), mentre Ăš invece la prima volta che lâopera di Keith Arnatt viene esposta in Italia dallâimportante mostra âDecompositionâ presso San Giovanni in Monte (Bologna, 1996)».
«In mostra sono presentati alcuni lavori iconici di Keith Arnatt della fine degli anni Sessanta. Uno dei principali obiettivi dellâartista era la manipolazione delle percezioni che lâosservatore ha del suo corpo e del paesaggio che lo circonda. Le azioni che costituivano la sua arte erano pianificate ed eseguite da Arnatt stesso, che ideava spazi nel terreno che nascondevano specchi, o creavano ombre e illusioni ottiche. Self-Burial (1969) Ăš una serie di fotografie che ritraggono lâartista mentre scompare gradualmente nel terreno, cancellando la presenza del corpo umano; la rimozione completa dellâartista dallâimmagine indica la smaterializzazione dellâopera dâarte, portandola a âcollassareâ concettualmente su se stessa. In aggiunta, Mirror-Lined Pit (daisies) e Untitled (Mirror Plug), entrambe del 1968, sono esempi chiave degli scavi di Arnatt nel paesaggio, nei quali lâutilizzo degli specchi crea lâimpressione che il terreno riappaia da uno spazio vuoto.
Sia Self-Burial che Untitled (Mirror Plug) dimostrano lâossessione di Arnatt verso il concetto di assenza come presenza, uno dei principi fondamentali dellâArte Concettuale del periodo: le tracce del corpo di Arnatt sono mostrate, o meglio parzialmente mostrate, attraverso una cavitĂ nel terreno o unâombra dai contorni umani», ha spiegato la galleria.
«Heidi Bucher Ăš stata unâimportante artista svizzera, ampiamente riconosciuta per la sua tecnica rivoluzionaria di âscuoiamentoâ dellâarchitettura domestica, usando calchi realizzati in lattice che riproducevano pavimenti, pareti e altri elementi architettonici. Lâopera Flying Skinroom (1981), un lavoro complesso dal punto di vista del concetto e del materiale, Ăš una delle piĂč grandi mai realizzate da Bucher; si tratta di un calco a grandezza naturale di unâintera stanza nella casa dei suoi genitori a Winterthur. La Flying Skinroom e il procedimento di portare il lavoro allâaperto si vedono in uno dei collage fotografici inclusi in âEARTHâ. Questi rari collage degli anni Ottanta, in mostra qui per la prima volta, sono una parte inedita del suo lavoro. Intitolati Der SchlĂŒpfakt der Parkett Libelle (1981), dove libelle significa libellula, presentano il marchio distintivo di Bucher, una libellula appunto, come elemento decorativo di particolare interesse: in questo potente simbolo naturale si ritrova infatti un collegamento con lâarchitettura dislocata, e con la ricollocazione di ambienti domestici in spazi allâaperto, che unitamente alla libellula stessa diventano un simbolo di liberazione di genere», ha ricordato la galleria.
«James Capper Ăš un giovane artista britannico il cui lavoro si sviluppa dallâunione di scultura, scienza e ingegneria. La pratica di Capper si ispira agli ambiziosi interventi di Land Art e al contempo anche allâabilitĂ , che gli artisti di tale movimento avevano, di lasciare un segno nel paesaggio. Lâampio uso di macchinari in arte, e dei macchinari come arte, genera una serie di quesiti sullâutilizzo di materiali non convenzionali nellâArte Concettuale. In mostra in galle- ria Ăš inclusa una selezione di sculture intitolate ATLAS, macinatori in metallo che Capper stesso ha disegnato e costruito, i quali hanno la funzione di essere sia parti di sculture cinetiche piĂč grandi, sia opere singole. Rimossi dal loro contesto originario di attivitĂ estrattiva, essi vengono trasformati in sculture totemiche, in un processo
che risolve il dilemma di come documentare lâatto dellâartista in una maniera tangibile. Le macchine-sculture di Capper hanno un utilizzo specifico, funzionale, mentre lâimpatto che hanno sullâambiente riunisce assieme il mondo naturale, la performance art e la tecnologia. Lâartista usa anche il disegno come mappatura del potenziale racchiuso nelle sue idee: i suoi lavori su carta, tra cui WALL DESTROYER (BUILD BRIDGES NOT WALLS) (2018) e FABER WITH ATLAS GRAB (2019), seguono la tradizione di Arnatt e Bucher in cui le opere bidimensionali sono usate per rappresentare gesti performativi complessi», ha aggiunto la galleria.
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