Categorie: Mostre

Enzo Cucchi, in Ancona: metterci le mani è necessario

di - 14 Maggio 2025

Un putto di marmo bianco, con la mano destra agli occhi nel gesto del cannocchiale, focalizza la visione, guarda nella direzione del mare che circonda la Mole Vanvitelliana, e con un piede, destro, a cui è aggrappato uno scorpione: così Enzo Cucchi si è autoritratto e così ci viene incontro sulla soglia di L’Ombra Vede al Museo Omero. Possiamo, anzi dobbiamo toccarlo: per comprendere appieno un’opera, Cucchi dice che è necessario “metterci le mani”.

Dice anche che «bisogna vederla solo al buio; perché le cose si conservano all’ombra e al buio» e per guardare il mondo, aggiunge, «si dovrebbe mettere la testa per terra, come le zucche, e le mani sulle cose». E così è: nella sua provincia d’origine – è nato nel Comune di Morro d’Alba, il 14 novembre 1949 (ecco il perché di quello scorpione sul piede) – Cucchi costruisce un percorso multisensoriale e scenografico dentro il quale ci si muove toccando 42 opere, di cui 4 disegni (tradotti a rilievo dal Museo Omero e posti sulla parete laterale di una grotta bronzea) e 38 sculture, di materiali diversi come bronzo, marmo, ceramica, legno, che ognuno di noi, può toccare. Perché?

Enzo Cucchi, L’ombra vede. Museo Tattile Statale Omero, Ancona

Perché le mani riescono a penetrare anche dove l’occhio non può spingersi, creando una dimensione aggiuntiva alla prima percezione. Perché alcune qualità dei materiali, come peso, solidità, temperatura, sono percepibili esclusivamente attraverso il tatto, così come le infinite qualità della loro superficie, la levigatezza o la ruvidità, la porosità o la granulosità e tutte le molteplici possibilità di texturizzazione fisica. E perché il tatto permette un’intima connessione tra le cose e il nostro corpo e l’attivazione di quel sentimento affettivo che è alla base dell’esperienza estetica. Subito dietro al putto, l’occhio intravede una grotta, di bronzo. Sulla soglia, prima di un tendone nero, c’è un teschio, simbolo ricorrente nella poetica di Cucchi, che della morte esibisce il volto non per sfidarla ma per catturare la possibilità di rinascita.

Enzo Cucchi, L’ombra vede. Museo Tattile Statale Omero, Ancona

Guidati dalle indicazioni si può accedere alla grotta, completamente buia, per provare l’esperienza di toccare, immaginare e riconoscere (?) tre opere che sono all’interno – e che non sveleremo, affinché si possa per l’intera durata della mostra conservare l’alone di mistero e di stupore che si prova. Qualsiasi tecnica si decida di adottare, al tatto di quelle tre opere, ci aggrappiamo al nostro inconscio per rintracciare quell’intensa espressività che Cucchi è solito conferire ai suoi lavori. La tensione, che inevitabilmente si scatena nell’istante in cui tocchiamo e cerchiamo di capire che cosa, è energia pura, è affermazione della nostra vitalità.

Appena prima della grotta una serie di bronzi a parete ci mostra due sequenze di piccoli teschi, due mani appena sopra la testa di un infante, e degli alberi, così vicini che sembrano toccarsi, così vicini da creare un abitacolo al cospetto del quale sta una figura, ritta e in piedi che ci richiama invitandoci a infrangere le distanze: solo avvicinandoci scopriamo nell’incavo di quell’abitacolo un altro teschio.

Enzo Cucchi, L’ombra vede. Museo Tattile Statale Omero, Ancona

Appena dopo invece possiamo distinguere e fruire di una zona, l’aia di campagna, pensata come luogo di socialità, riflessione e conoscenza, e di un’altra, l’atelier dell’artista, che ci trasporta nell’ambiente dove nasce la creatività di Cucchi. E poi tutt’intorno, nel percorso che Cucchi ha ideato insieme ad Andrea Socrati e Marco Moreschi, lo spazio viene a somigliare a un paesaggio, anzi differenti paesaggi, ognuno carico di enigmi, che mutano a seconda del punto di vista dal quale li osserviamo.

Le forme di Cucchi, evocative di un memento mori, scivolano sotto il nostro occhio dove tridimensionalità e visionarietà si fondono sotto le nostre mani, come a proteggerle: è con le mani che proteggiamo, è con le mani che facciamo ombra. L’ombra che Jorge Luis Borges ha elogiato, «Questa penombra è lenta e non fa male;/scorre per un mite pendio/e somiglia all’eterno»; l’ombra in cui Giordano Bruno ha colto il nutrimento della conoscenza. E allora che che cos’è l’ombra se non la metafora della scultura stessa, che custodisce e protegge la forma? Poeta e mago, Enzo Cucchi, ancora e sempre, dentro e fuori, dove riconosciamo un’apparizione, Van Gogh, che non solo sottolinea il significato mitico della pittura ma rinforza un legame d’elezione molto forte.

Enzo Cucchi, L’ombra vede. Museo Tattile Statale Omero, Ancona

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